mercoledì 18 aprile 2018

DA VITO

TRATTORIA
via Musolesi, 9 - Bologna


aggiornato gennaio 2021

La trattoria da Vito non è storica, è storicissima.
Si trova fuori porta, alla Cirenaica, a due passi da via Paolo Fabbri, 43.


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Tutti sanno che Guccini qui per tanti anni è entrato spesso.
Insieme a lui gli amici della Bologna degli anni 70-80: Lucio Dalla, Ron, Andrea Mingardi, Red Ronnie, Luca Carboni, ma anche Gaber, Fo e De Andrè.
Come ricorda il figlio di Vito in una intervista, De Andrè una sera uscì dal locale abbastanza ubriaco e si schiantò a un chilometro con la sua Citroën DS.

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La denominazione è trattoria ma nel tempo viene indicata e ricordata come osteria fuori porta, per i personaggi che l'hanno frequentata, che si riunivano per discutere di politica e suonare la chitarra, per la genuinità dei piatti a prezzi popolari e il bicchier di vino servito fino a tardi.

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Il signor Vito era un ottimo padrone di casa e lo testimonia una foto storica appesa alla parete, insieme a Dalla e Guccini.

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Oggi i tempi sono cambiati, Guccini si è ritirato a Pavana e Vito non c'è più. 
Però le redini del locale sono passate al figlio, che continua a mantenere la medesima tradizione e i medesimi arredi, ormai vintage e irrinunciabili.

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Il vino sfuso, bianco o nero, te lo portano in un bottiglione da 2 litri e paghi al consumo.

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Il servizio è più che genuino; potrebbe accadere che ordinando lo stinco di maiale con i fagioli, il cameriere schietto e sincero vi dica: "Per me qualcuno stasera dorme in terrazzo!".

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La tradizione culinaria bolognese è espressa alla massima potenza.
Le lasagne sono spettacolari, perfette nella proporzione degli ingredienti.

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A guardare bene sembra un dipinto, poesia.

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Il tiramisù è il mio dolce preferito, perfetto.

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Su Youtube ci si potrà sbizzarrire con diversi video. Qui allego → 20 minuti di documento girato da Monica Ghezzi e Giorgio Comaschi, con Guccini e Jimmy Villotti (e lo stesso cameriere storico, schietto e sincero).

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Per inciso, non è luogo per palati fini. 
Il cibo è ricco di ingredienti "pesanti", non a caso Bologna è denominata anche la grassa, allo stesso tempo i piatti sono serviti spartanamente, senza fronzoli, così come si è sempre fatto nelle antiche osterie.
Il locale "fuori moda", "vecchio","bettola", tanto dileggiato dai comuni avventori e dai turisti dell’ultima ora (vedi Tripadvisor) rimane prezioso proprio perché lo si trova intatto fin dagli anni '70-'80. 
Un’idea di cosa fosse l’osteria, la vera Osteria, quella dei tempi passati, è qui.


Tutto è cambiato ma nulla è cambiato, una piacevole contraddizione che conferma la Trattoria da Vito luogo del cuore e della bolognesità.

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→ "Non so che viso avesse, quasi un'autobiografia", Francesco Guccini.


                                                 → Trova il Cibo


                                           → Bologna







lunedì 16 aprile 2018

NEGOZIO GAVINA (Carlo Scarpa 1961)

via Altabella, 23 - Bologna


Il negozio Gavina è situato al piano terreno di un antico edificio nel cuore del centro storico bolognese. Dino Gavina fu un illuminato imprenditore bolognese che nel 1960 fondò la Gavina SPA e chiamò l'architetto veneziano Carlo Scarpa a presiederla.


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La sede storica dell'azienda si trova a San Lazzaro di Savena, in un edificio progettato da Pier Giacomo Castiglioni nel 1959, con produzione di mobili, sedie, poltrone e divani.
Diventa nel tempo un punto di riferimento per la storia del design in Italia e all'estero.

Da sinistra Dino Gavina, Achille e Pier Giacomo Castiglioni e Michele Provinciali fotografati accanto alla poltrona Sanluca, sotto il portico di San Luca a Bologna, 1960.

Poltrona Sanluca - ©Mauro Masera, 1960

A Carlo Scarpa viene affidato nel contempo l'incarico per la progettazione del negozio di rappresentanza in via Altabella. 
Originariamente i locali ospitavano un negozio di ferramenta; l'intervento di Scarpa costituisce da tempo una delle più significative presenze moderne nell'antico tessuto edilizio bolognese, sottolineato all'esterno dalla singolare facciata in cemento martellinato e all'interno da una originale composizione dello spazio.

Su richiesta del figlio Tobia Scarpa, nel 1997 l'opera è stata riconosciuta di importante carattere artistico con decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, con un testo specifico di Paolo Frabboni e Fausto Tomei:
"Il prospetto di via Altabella, connotato dalla grande lastra cementizia sovrapposta all'originario paramento intonacato, è scandito da tre aperture: una vetrina a doppio anello, un grande oculo e l'ingresso centrale, chiuso da un cancello di piccole dimensioni.

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Come in tutte le sue opere Scarpa attribuì grande rilievo ai materiali impiegati.
La parete in cemento risulta così lavorata a fasce con punte diverse di scalpello e spartite da bande dorate a foglia, mentre i cristalli delle vetrine a filo della facciata sono sostenuti da borchie di bronzo e ghisa.

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All'interno Scarpa, riducendo la frammentazione spaziale originaria, conferisce agli ambienti una nuova profondità, ottenuta con la disposizione di numerosi elementi verticali: grandi pilastri con elaborate superfici in cemento battuto, in stucco color cobalto o bianco lucido, arricchite con foglia d'argento.

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Negozio Gavina - ©Paolo Monti, 1963




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La cifra stilistica di Scarpa si coglierà appieno anche nella composizione della vasca in cemento dal profilo geometrico, in cui si riflette il mosaico policromo realizzato da Mario Deluigi con tessere in vetro smaltato".

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Sul lato posteriore quello che fu l'ufficio di Gavina; una fessura in basso gli permetteva di visualizzare la porta di entrata.

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Negozio Gavina - © Paolo Monti, 1963



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Negozio Gavina - ©Paolo Monti, 1963






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Il negozio, dopo essere stato occupato per circa vent'anni dagli arredi dell'azienda Gavina, viene affittato per la vendita di giocattoli d'arte Hoffman.
Dal 2016 i giocattoli non ci sono più e lo spazio, di proprietà della famiglia Castaldini, è stato rimesso sul mercato ma rimane invenduto, anche per via del costo che oggi viaggia intorno al milione di euro.
Vincolato dalla Sovrintendenza, al momento viene messo a disposizione come spazio per iniziative temporanee.

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Il negozio Gavina è prezioso anche perchè è l'unico realizzato da Scarpa, assieme al negozio Olivetti in Piazza San Marco a Venezia.


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Fonti consultate/utilizzate per la ricerca.

Bibliografia:
-foglio informativo FAI

Sitografia:





giovedì 12 aprile 2018

CHIESA DI SAN PROCOLO - Bologna

via d'Azeglio, 54


L'antichissima chiesa, che nel primo nucleo costituiva l'Aula Liturgica del monastero benedettino attiguo, risale all'XI secolo, poi ampliata nel 1537 da Antonio Morandi detto il Terribilia. La facciata è monocuspidata, cioè con la parte terminale di forma triangolare.


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L'interno è a tre navate, con piloni cruciformi, cioè di forma quadrangolare caratterizzati dalla presenza di una mezza colonna sporgente da ogni faccia.

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Nella chiesa sono sepolti alcuni sommi maestri del diritto, come Martino e Bulgaro, allievi di Irnerio.

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Al secondo altare destro troviamo il dipinto "San Benedetto in estasi" di Bartolomeo Cesi.

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L'altare è costituito dall'Arca dove si trova il corpo di San Procolo, uno dei primi martiri della tradizione cristiana. Il sarcofago è romano del IV secolo, modificato nel XIV.

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Due epigrafi si trovano sul lato sinistro della chiesa.
La prima dice:
 "In questa chiesa di San Procolo, la quale fu dei monaci di San Benedetto, l'Università degli scolari ultramontani, teneva sue radunanze durante il secolo XIII.
E qui fuori stavano le tombe di Bulgaro e di Martino i quali, con Jacopo ed Ugo, tutti quattro dottori dello Studio bolognese, furono chiamati l'anno 1158 da Federico I detto Barbarossa alla Dieta in Roncaglia ove resero la sentenza intorno i diritti dell'Impero e delle città rimasta famosa.
Memorie poste l'anno MCMIII (1903)".

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La seconda epigrafe propone un gioco di parole latine di non chiaro significato:
"Se Procolo fosse stato lontano dalla campana di San Procolo, ora lo stesso Procolo sarebbe lontano da San Procolo. Anno Domine 1393".

E' datata 1393 ma risale al 1566 e probabilmente ricorda un campanaro di nome Procolo, morto nel crollo parziale del campanile, e sepolto presso la chiesa.
Un'altra leggenda dice che l'abbia scritta uno scolaro in ricordo di un altro di nome Procolo che, alzandosi allo Studio quando la campana di San Procolo suonava mattutina, sarebbe morto per la soverchia fatica!

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San Procolo era un ufficiale romano martirizzato all'inizio della persecuzione di Diocleziano, nel 303 d.C.
 Si dice fu decapitato in via Alemandini, in località Valverde; la leggenda narra che, preso con le mani il capo reciso, sarebbe giunto dove sorge attualmente la chiesa. Dopo l'Editto di Costantino, del 313 d.C., è verosimile pensare che sulla tomba venisse eretta una piccola edicola. All'inizio dell'VIII secolo sorse una piccola chiesa, poi nella seconda metà del XI secolo i Benedettini innalzarono la loro chiesa.

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Michelangelo raffigura San Procolo in una scultura marmorea (1495) collocata nella → Basilica di San Domenico, sul retro della famosa Arca.








                                                                             

Fonti consultate/utilizzate per la ricerca.

Bibliografia:
-C. Ricci e G. Zucchini, Guida di Bologna, Ed. Alfa Bologna, 1976
-Emilia Romagna, Touring Editore, 2010
-foglio informativo del FAI
-Marcello Fini, Bologna sacra: tutte le chiese in due millenni di storia, ed. Pendragon


Sitografia:





mercoledì 11 aprile 2018

SAN PROCOLO: MONASTERO BENEDETTINO (ex maternità)

via d'Azeglio, 54 - BOLOGNA



ultimo aggiornamento gennaio 2024

Il Monastero di San Procolo era un importante centro di studio dei Benedettini, dove ebbe la sua più antica sede l'Universitas degli scolari legisti. Vi insegnò il giurista Irnerio, autore di studi sul diritto romano giustinianeo, e Graziano, fondatore del diritto canonico. Per questo fu uno dei più ricchi e importanti monasteri di Bologna. 
 Al momento sono avviati i lavori di restauro.


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I CHIOSTRI

Entro nell'ex Monastero in restauro dove incontro il primo dei tre chiostri:
 il Chiostro della Sagrestia (1628), eretto da Giulio della Torre, personalità attiva per molti anni nella ricostruzione del complesso monastico.

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Si vede bene la differenza fra la finestra restaurata e quella in lavorazione.

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Il secondo, Chiostro del Capitolo o del Priore (1586), su progetto di Domenico Tibaldi, ora è inaccessibile per i lavori in corso.
Il cortile non presenta alcun lato porticato.
Domenico Tibaldi era figlio del maestro Tibaldo Tibaldi e fratello del più noto Pellegrino, originario di Valsorda, fu attivo costruttore a Bologna, soprattutto nel Complesso di San Michele in Bosco.
Fu l'uomo di fiducia del cardinale Gabriele Paleotti.

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Le prime notizie del Monastero risalgono all'XI secolo, dove probabilmente era organizzato intorno a un primo, unico chiostro: il Chiostro del Refettorio, finito nel 1549 su progetto di Antonio Morandi detto "il Terribilia", l'architetto dell'Archiginnasio.
Purtroppo resta poco del ricco apparato decorativo ma si possono osservare sei decorazioni monocrome sopra le porte del chiostro e un paio di capolavori all'interno del Refettorio.

Ora il Chiostro del Refettorio è in pieno restauro.

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Nel sottoportico sono raffigurati in chiaroscuro i principali santi bolognesi, affrescati da un allievo del Dentone, Giovanni Andrea Santi, fra il 1626 e il 1637.

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Questi affreschi fanno parte del quadraturismo, di cui il Dentone fu caposcuola a Bologna.
È un genere pittorico che realizza quadrature, cioè architetture dipinte entro una rigorosa intelaiatura prospettica e illusionistica.

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San Petronio.

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IL REFETTORIO

 Ai lati della porta d'ingresso due lavamani cinquecenteschi in marmo, dove i monaci si lavavano prima dei pasti.
 Disegnati da Francesco Morandi, nipote di Antonio Morandi, soprannominato come lo zio "Il Terribilia".
Le grandi conchiglie sotto le alte nicchie sono in marmo rosso di Verona, marmo che proveniva dal cantiere di San Petronio, ed è lo stesso marmo che ne abbellisce la parte bassa della facciata.

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"LA PESCA MIRACOLOSA" di Lionello Spada.


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L'affresco rappresenta "La Pesca Miracolosa" (1607), un miracolo di Gesù descritto nei Vangeli, compiuto in due distinte occasioni, prima e dopo la sua risurrezione. 
Nell'opera di Spada è raffigurata la terza volta in cui Gesù si manifestava ai suoi discepoli dopo essere risuscitato dai morti.

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Possiede una monumentale cornice ornata dalle figure a chiaroscuro dei due santi Procoli.

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Il manifesto informativo FAI, dove si possono vedere il quadro e la cornice nella loro interezza.

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SALA DELL'ABATE

Qui si trovano due affreschi di Alessandro Tiarini.

"Il martirio di San Procolo" (1639) sulla volta, narra la leggenda della sua decapitazione durante le persecuzioni di Diocleziano.
La testa gli fu tagliata ma lui non morì: nella notte si recò con la testa in mano in un luogo dove morì e dove in seguito fu eretta una chiesa in suo nome.

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"La Calunnia" (1641), sul camino.

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Il quadro interpreta → la favola mitologica di re Mida, secondo la versione di Ovidio ne "Le Metamorfosi".
Re Mida era stato chiamato a giudicare chi fosse il miglior musicista fra Pan e Apollo.
Scelse Pan, e Apollo non la prese per niente bene, tanto che fu punito con un paio di orecchie d'asino.

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I corridoi, liberati dai controsoffitti aggiunti e sovrapposti nel tempo, si caratterizzano per la proporzione delle linee e risultano puliti e ariosi.

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Dalle finestre l'affaccio dà su un'area scolastica, un tempo occupata dagli orti del monastero.

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LA FACCIATA

Su via d'Azeglio la facciata del Monastero si deve anch'essa ad Antonio Morandi e presenta due portali circondati dal rosso bolognese dell'intonaco.
Il portale verso il sagrato della chiesa vede uno scudo ovale con una figura femminile con lancia, fascio littorio e berretto frigio, unica testimonianza rimasta a Bologna della Repubblica Cisalpina.

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Dopo l'ingresso delle truppe francesi a Bologna nel 1796 infatti, il monastero fu soppresso e adibito a caserma.

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Nel 1798 diventa sede dell'Ospedale degli Esposti, o Bastardini, cioè l'infanzia abbandonata, che si andava ad aggiungere al fabbricato di fronte, riconoscibile dall'alto portico.
Sul portale d'accesso su via d'Azeglio il simbolo del vecchio ospedale.

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Nel 1939 la gestione passò alla Provincia che creò l'Istituto Provinciale per l'Infanzia e la Maternità, sino alla fine degli anni '90, quando poi la Maternità si trasferirà all'Ospedale Maggiore.

Nelle tre foto seguenti la testimonianza del reparto Maternità con le ultime tracce che presto scompariranno.

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Il vasto complesso è stato comprato dal fondatore e presidente del gruppo Datalogic, leader mondiale dei produttori di lettori di codici a barre.
Al termine dei lavori parte dei locali accoglieranno il TAR dell'Emilia Romagna.




Una targa  sulla facciata indica il punto esatto in cui si trovava il torresotto di San Procolo, demolito nel 1555, facente parte della → Cerchia del Mille.

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"Qui era nelle mura penultime
della città una porta detta il
serraglio di San Procolo
munita da un torrazzo il
quale fu demolito l'an. MDLV"













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Elenco delle fonti consultate/utilizzate per la ricerca.


Bibliografia:
-C. Ricci e G. Zucchini, Guida di Bologna, ed. Alfa Bologna, 1976.
-Emilia Romagna, Touring Editore, 2010.
-foglio informativo del FAI.
-"Bologna Centro Storico", di Cervellati, Emiliani, Renzi, Scannavini, Agostini e Filippini, volume-catalogo promosso dal Comune di Bologna per la mostra omonima a Palazzo d'Accursio, Ed. Alfa, 1970.

-resoconto visita guidata giornate FAI di primavera 2018.