domenica 31 marzo 2019

OPIFICIO DELLA GRADA - Bologna

via della Grada, 12

(torna alla Chiusa di San Ruffillo)


 A ridosso di un segmento di mura scampato alle demolizioni del 1902, su viale Vicini, vi è il tratto scoperto del punto in cui il Canale di Reno entra in città.


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La grata dà il nome alla via.
Il nome della strada infatti, via della Grada, che da qui inizia, deve la sua origine a questa inferriata (grata o grada), che chiudeva l'accesso in città a persone, a merci clandestine e ai rami trasportati dalla corrente che potevano danneggiare le numerose ruote idrauliche all'interno delle mura.

Ma è anche l'unica grata apribile (gli altri canali le avevano fisse) perchè qui il canale veniva usato anche per il trasporto dei grossi tronchi che, dall'alto Appennino venivano condotti a Bologna fino alle numerose segherie, che si trovavano numerose su via Falegnami, così chiamata per questo motivo.

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Dietro le mura il tratto è scoperto da un ripristino di qualche anno fa.

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Si può fare un foto confronto con un'antica e famosa foto di Bologna, dove i ragazzi facevano il bagno nel canale.

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©collezioni-genusbononiae            




















Questo angolo vede anche il retro dell'OPIFICIO DELLA GRADA, che si affaccia su via Calari, con l'accesso alle visite guidate.
L'antico edificio secentesco, a cavallo del Canale di Reno, era una pellacaneria, cioè conceria delle pelli.
Oggi è sede dei Consorzi dei Canali di Reno e Savena.

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Cammino intorno all'ex opificio per rendermi conto del luogo in cui mi trovo: l'edificio è molto grande.

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La facciata laterale vede l'entrata degli uffici del Consorzio.

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Nella facciata principale, una targa ricorda l'eroe del canale Cesare Tartarini, lavandaio di 29 anni, che morì nel 1878 per salvare due bambini.
Quel gesto eroico salvò i bambini ma privò la sua famiglia del sostegno economico: Cesare infatti aveva moglie e due bambini.

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L'opificio si affaccia su via della Grada, dove oggi c'è un lungo parcheggio a lisca di pesce, mentre un tempo, prima che il canale venisse tombato, vi erano i gradoni dove le lavandaie sbattevano i pesanti panni bagnati.

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©Collezioni-Genus-Bononiae



Qui erano numerosissime le lavandaie, perchè il canale di via della Grada era il luogo migliore per lavare, in quanto l'acqua, appena entrata dentro le mura era pulita, non avendo ancora raccolto i liquami della città.

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©Collezioni-Genus-Bononiae




Per questo motivo, alla fine di via della Grada, dove si incrocia con via San Felice, si è collocato il monumento alla lavandaia, di Saura Sermenghi.
La scultura è molto bella, ma ha incontrato diverse critiche per la postura e la nudità.
Allego → "Considerazioni sulla mia scultura La Lavandaia", di Saura Sermenghi.

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Ma ora è tempo di entrare nell'edificio dove incontro un bellissimo modello in scala 1:33 che riproduce l'antica Conceria della Grada come si presentava nel settembre del 1786.

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Era la conceria più importante della città, sfruttava l'energia idraulica della ruota a pale, per muovere le macchine con cui venivano lavorate le pelli.

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LA STORIA

Lo stabilimento sorse nel 1681 per iniziativa di un privato, Gianbattista Mengarelli.
Nella foto vediamo come l'edificio sia stato costruito a cavallo del canale. L'acqua ha attraversato le mura della Grada ed entra sotto al muro dell'ex opificio.

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Il figlio di Gianbattista, Luca Mengarelli, che non aveva la stoffa dell'imprenditore, pieno di debiti fu costretto a vendere al cardinale Pompeo Aldrovandi, nel 1724.

Nel 1775, alla morte del cardinale, va ad ereditare il Capitolo di San Petronio, che per 15 anni avrà solo grane nella gestione.

Nel corso del tempo la ruota dell'opificio della Grada faceva calare il flusso dell'acqua agli opifici più a valle, fino a quando il "Corpo degli Interessati del Canale di Reno", cioè tutti quelli che si servivano dell'acqua del canale stesso, intentarono una causa.

Nel 1791 si risolse con la cessione dell'opificio al Corpo degli Interessati, cioè al Consorzio che conosciamo oggi.

La grande ruota a pale nel 2006 è stata ricostruita identica a quella del 1786.

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Nei primi decenni dell'Ottocento l'attività della conceria cessò a seguito della crisi del settore.
Divenne stabilimento estivo per bagni pubblici d'estate, e lavanderia per il periodo invernale.

Infine nel 1899 furono installate due turbine per l'Istituto Ortopedico Rizzoli, atte ad alimentare la prima sala a raggi X.
L'energia elettrica veniva portata attraverso una linea che fiancheggiava i viali di circonvallazione.
Nel 1926 non furono più in uso, ma sono esposte qui all'opificio per ricordarne la storia.

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Nel dopoguerra venne cessato qualsiasi uso industriale e l'intero edificio venne adattato ad uso abitativo, generalmente per casi sociali e per bisognosi.

Non è mai cessata invece la regolazione idraulica per le acque che entrano in città.

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Dal 1995 il Consorzio lavora per il recupero del fabbricato.

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Sono terminati i lavori di staticità, mentre il restauro interno si è completato per il primo piano, che ospita gli uffici del Consorzio e l'archivio.
Il piano terra, dove si trova la ruota e il modellino dell'opificio, è destinato alle visite ma non ancora completato.
Diventerà la Casa delle Acque di Bologna, un museo dedicato all'acqua e allo stretto rapporto che ha con la città.

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                                 → Il Canale delle Moline





Elenco delle fonti utilizzate per la ricerca:

- Visita guidata a cura del Consorzio dei Canali di Reno e Savena.


Bibliografia:
- Tiziano Costa, "Il Grande Libro dei Canali", Costa editore, terza edizione 2011.
- plico informativo "Acque nascoste a Bologna", di Bologna Welcome

Sitografia:





martedì 26 marzo 2019

MUSEO DEL PATRIMONIO INDUSTRIALE

via della Beverara, 123 - Bologna


Il museo si trova all'interno dell'ex Fornace Galotti, costruita nel 1887 dall'imprenditore Celeste Galotti e dotata di un Forno Hoffman a cottura continua, rimasto in funzione fino al 1966. Il Comune decise di restaurare l'ex fornace negli anni 1980 recuperando circa 3000 m². Una parte del complesso ospita il museo dal 1997.


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Si trova nella prima periferia di Bologna, all'altezza del → Sostegno del Battiferro sul Canale Navile, di cui sfruttava l'acqua, ugualmente ad altri opifici che sorgevano in quest'area, come la prima centrale elettrica della città.
Inoltre il terreno del Battiferro ha sempre avuto un'argilla di buona qualità, materia prima per la fornace.

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Il museo documenta la storia economico-produttiva della città di Bologna, dal 1400 (Età Moderna) fino ai giorni nostri.

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L'evento che portò alla fondazione del museo fu una mostra all'interno delle Scuole Aldini-Valeriani, che recuperava ed esponeva le collezioni storiche.
La mostra poi, ampliata nel tempo, si arricchì di plastici per documentare il sistema idraulico artificiale della città.
In particolare la costruzione di un modello funzionante di mulino da seta alla bolognese, presentato nel 1986 alla 17 ͣ triennale di Milano dedicata al luogo del lavoro.

Oggi questo mulino è il punto di forza del museo.


Il museo è così disposto:

1- PIANO TERRA

2- PRIMO PIANO

3- SECONDO PIANO



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1- PIANO TERRA

Il Forno Hoffman occupa, si può dire, l'intera area del museo. E' costituito da una camera del fumo centrale, circondata da una galleria ad anello con volta a botte.
La galleria possedeva 16 camere, per la cottura di laterizi a ciclo continuo.
Celeste Galotti portò modifiche innovative ai forni, dotandoli di bocchettoni per il fumo, e la galleria a botte, particolarmente adatta alla cottura delle tegole piane.

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Oggi nella galleria ad anello sono esposti gli strumenti e le macchine provenienti dalle collezioni Aldini-Valeriani, la più antica scuola tecnica della città.

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Il corridoio del forno durante i lavori di ristrutturazione.

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©wikipedia




Nel corso del '900 le fornaci Galotti a Bologna saranno sei, di cui quattro nella zona del Canale Navile, le altre a Borgo Panigale e a Corticella.

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©Museo del Patrimonio Industriale. Monica Galeotti©photo





E' doveroso iniziare la visita da una vecchia foto dell'Istituto Aldini Valeriani con i banchi di aggiustaggio, all'interno della Chiesa di Santa Lucia, sua prima sede negli anni 1940.

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©Museo del Patrimonio Industriale. Monica Galeotti©photo



Le Aldini-Valeriani, oggi in via Bassanelli 9/11, rappresentano l'inizio di una nuova era industriale per Bologna e punto fondamentale di questo museo.

Vediamo il tecnigrafo, strumento per il disegno tecnico, che fu essenziale per disegnatori tecnici, architetti e ingegneri. Dagli anni 1980 ma in particolare dagli anni '90, i disegni verranno effettuati con il CAD e il plotter per la stampa, anche se le aziende ad alto tasso tecnologico, per non sprecare carta, oggi usano i monitor.

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Luigi Valeriani fu docente di Economia Pubblica all'Università di Bologna dal 1801.
Fu promotore di iniziative d'impresa e lavoro come lotta al pauperismo. Conobbe Giovanni Aldini, fisico dell'Università di Bologna e nipote di Luigi Galvani, ed insieme collaborarono all'elaborazione del Nuovo Piano d'Istruzione, finito di discutere nel 1799.
Da questo Piano e dai testamenti con lascito economico di entrambi, rispettivamente del 1828 e del 1834, nasce la Scuola Tecnica che ancora oggi conosciamo.





Sempre al piano terra è presente una collezione di macchine degli anni 1940/60 di varie aziende che hanno creato il successo bolognese del confezionamento e imballaggio dei prodotti:


- la ditta CALZONI


Giuseppe Calzoni era un macellaio di Bologna che abbandonò la propria attività per dedicarsi alla produzione di candele steariche all'inizio del 1800.
Poi avviò una piccola fonderia in Strada Maggiore, per produrre con torchio a pressione posate in peltro. Alla sua morte i figli continuarono l'attività e nel 1876 la Calzoni otteneva il brevetto industriale del torchio a leva multipla per vinacce e olive con 2.400 pezzi venduti su tutto il mercato nazionale.
Dopo il 1887 la Calzoni si specializzava nella produzione di turbine idrauliche per gli impianti idroelettrici, con sede in via Petramellara.
Dal 1920 si unisce alla fonderia Parenti nella definitiva sede di via Emilia Ponente.
Oggi si occupa di oleodinamica.

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- la ditta IMA

L' "Industria Macchine Automatiche" venne fondata da Andrea Romagnoli nel 1961, in società con il cognato e il sostegno finanziario dei fratelli Giuseppe e Luigi Vacchi. Romagnoli era un perito meccanico diplomatosi nel 1947 alla scuola Aldini-Valeriani.
Oggi è Marco Vacchi a detenere il controllo dell'azienda.
Inizialmente IMA si occupava di costruire imbustatrici per l'idrolitina e confezionatrici per uova e figure di cioccolato.
Nel 1967 entra nel settore del tè in sacchetti filtro, e diventa azienda leader a livello mondiale (70% del tè in filtro consumato nel mondo).
Nel 1976 entra in campo farmaceutico con la macchina blisteratrice per capsule di compresse.
Unica nel suo settore IMA è quotata in borsa dal 1995, con stabilimenti di produzione in Germania, India e Cina.

Nell'immagine la IMA C20, confezionatrice di tè o erbe in bustine filtro, con filo ed etichetta, anno 1975 (progetto di Andrea Romagnoli).

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- la ditta G.D.

Nasce nel 1923 come capostipite nella produzione motociclistica.
Poi si esprime ed espande nella produzione di macchine automatiche nel secondo dopoguerra.
Due sono i nomi: il grande intuito imprenditoriale di Enzo Seragnoli e la genialità inventiva di Ariosto Seragnoli.
La G.D. diventa una grande azienda nel settore del packaging, con macchine incartatrici nel campo alimentare e macchine per il confezionamento del tabacco.
Per la G.D. oggi vedi → MAST.

Nella foto il modello 2250, confezionatrice per caramelle di forma ovoidale con incarto a doppio fiocco, anno 1957, progettista Ariosto Seragnoli.

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2- PRIMO PIANO

Il primo piano ospita le mostre temporanee, inserite insieme alle permanenti installazioni delle famose case automobilistiche e motoristiche della regione.

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La tradizione dei motori nella regione Emilia-Romagna è risaputa.
Nella sola Bologna le moto correvano alla Montagnola, all'Ippodromo, nel Circuito viale Oriani-via Trento e Trieste, nelle gare in salita Villa Spada-Casaglia, Bologna-S.Luca e Bologna-Barbiano.

Le automobili gareggiavano in città al Circuito dei Giardini Margherita e vie adiacenti negli anni 1920-'40.
Nella foto il "Gran Premio Bologna", 1927, che includeva anche il rettilineo dei viali e la salita della via Panoramica, vede la vittoria di Emilio Materassi su Bugatti.
In seconda fila col numero 24, Ernesto Maserati alla guida di una Tipo 26 Franco Zagari.

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©Museo del Patrimonio Industriale. Monica Galeotti©photo




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©Museo del Patrimonio Industriale. Monica Galeotti©photo





- la ditta Maccaferri

Sempre al secondo piano i gabbioni che hanno creato la fortuna della ditta Maccaferri.
Le grandi sacche di rete metallica riempite di sassi servono a impedire frane, rinforzare argini e creare sbarramenti in genere.
Il Gruppo Maccaferri oggi ha acquisito altre imprese, diverse per attività, che hanno portato l'azienda a diventare un colosso dell'imprenditoria.
Questi sviluppi non hanno interrotto la produzione dei gabbioni.

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- le macchine da gelato Carpigiani e Cattabriga

Alla Carpigiani nel 1951 il tecnico Ezio Manfroni, appena diplomato alle Aldini-Valeriani, progettava la macchina a rubinetto illustrata nella foto.
 Per tutti gli anni '50 e '60 la Carpigiani monopolizzò il mercato vendendo le sue macchine in tutta Europa e negli U.S.A., riuscendo anche ad assorbire l'azienda Cattabriga, nel 1970.

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3- SECONDO PIANO:

 "Bologna dell'Acque e della Seta"


Qui è collocato il famoso mulino in scala 1:2, che dà lustro al museo.
La produzione della seta si era sviluppata fra il 1400 e il 1700, e grazie alle innovazioni tecnologiche dei mulini che sfruttavano l'acqua dei canali, Bologna divenne famosa in tutto il mondo.

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A quel tempo le fibre tessili (canapa, lino, seta e lana) venivano filate a mano, con piccoli strumenti come il filarino, prima di essere lavorate al telaio.

L'innovazione partì dalla Toscana e precisamente a Lucca, dove comparve il primo filatoio a braccia di forma circolare, con il quale ebbe inizio la storia del mulino da seta.
Bologna, partendo da quell'ottimo risultato, perfezionò il filatoio con l'aggiunta della ruota idraulica, che permise la soluzione di tanti problemi.
La città divenne un grande centro industriale della seta e dava da vivere a circa 24.000 persone su 60.000 abitanti.

Lo spazio nella casa era organizzato in senso verticale:
in cantina le ruote idrauliche azionate dall'acqua muovevano le macchine per torcere i fili della seta (torcitoi), collocate nel corpo centrale dell'edificio.

Mentre i raccoglitori dei filati, gli incannatoi, erano sistemati nei solai.
Nella foto la ruota idraulica a cassette, 1855, riproduce in scala la ruota che muoveva il filatoio da seta della ditta Giulio Sabatini.

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Alla fine del 1700 vi fu un crollo irreversibile di questa produzione.
I concorrenti di altre regioni come il Piemonte, la Lombardia e il Veneto potevano contare su vaste aree rurali, numerosi canali, manodopera di origine contadina a buon mercato e grandi e perfezionati mulini da seta.
Bologna, chiusa a difesa del proprio primato e dei segreti industriali ormai di dominio pubblico, non riuscì a stare al passo coi tempi.

Tutto un mondo scompariva lasciando una moltitudine di lavoranti senza lavoro, artigiani senza mestiere e poche aziende impoverite e ripiegate sul mercato locale. La presenza di poveri e mendicanti ad ogni angolo della strada era il segno più evidente della perdita dell'antico primato.

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Ma Bologna riuscì a rialzarsi perchè, come abbiamo già visto, grazie anche al merito dei due intellettuali Giovanni Aldini e Luigi Valeriani, si avviò verso la moderna industrializzazione.

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Questo museo comunale fa parte dell'istituzione Bologna Musei e organizza numerosi → laboratori e incontri a tema per divulgare la storia industriale della città.
E' un peccato che la posizione, strategica e insostituibile ma decentrata, lo penalizzi un poco.
 Un museo bellissimo e uno degli esempi più significativi in Italia di recupero di uno stabilimento industriale per fini museali.





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Bibliografia:
- Carlo Garulli-Valerio Montanari, "Castel Maggiore tra storia e memoria", 2007, ed. Pendragon.
- pieghevole "Acque Nascoste a Bologna", a cura di Bologna Welcome.
- legende Museo del Patrimonio Industriale.


Sitografia: