venerdì 26 aprile 2019

VILLA ALDROVANDI-MAZZACORATI

via Toscana, 19, Bologna


A partire dal 1500 le famiglie nobili e facoltose di Bologna cominciarono a dotarsi, oltre che di una sontuosa residenza urbana, anche di una villa di campagna dove soggiornare nei mesi estivi a poca distanza dalla città.


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LA PROPRIETA' ALDROVANDI

Nel 1760 il conte Gian Francesco Aldrovandi ereditò dal padre "il Palazzo a Camaldoli", in quella che un tempo era la campagna bolognese, sulla strada di Toscana.

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Mappa settecentesca dell'Ufficio Acque e Strade, pieghevole Parchi e Giardini bolognesi.



Il palazzo era così chiamato perchè non distante da questo luogo, secoli prima sorgeva l'Eremo di Santa Maria di Camaldoli, di cui non restano più tracce.
L'antica presenza del monastero è richiamata da una croce su colonna all'inizio di Via Croce di Camaldoli (300 metri da Villa Mazzacorati), la strada dell'antico accesso all'eremo. 
La colonna è stata più volte riscostruita.

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Gianfrancesco, conte, senatore, gonfaloniere e brillante libertino si era sposato nello stesso anno di eredità del palazzo con la nobildonna Lucrezia Fontanelli, figlia del letterato modenese Vincenzo Fontanelli.

Per farne una dimora degna di ricevere nobili, letterati e politici, decise di rifare l'intero palazzo e affidò l'opera all'architetto Francesco Tadolini, fautore dello stile neoclassico in Emilia che, fra il 1769 e il 1772 ne ricava un'opera neopalladiana.

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Il palazzo venne praticamente sopraelevato di un piano, con l'elegante colonnato ad anfiteatro, coronato dalle due barchesse laterali semicircolari, che servirono anche a nascondere i ricoveri degli animali e le casupole delle attrezzature per il lavoro dei campi.

Situato su una posizione "alta", il palazzo è ben visibile dalla strada col suo aspetto imponente e un'elegante cancellata d'accesso.



IL TEATRINO SETTECENTESCO

Per emulare l'amico Francesco Albergati, attore e commediografo, che nella villa di Zola Predosa possedeva un magnifico teatro stabile (andato perduto nella Seconda Guerra), Gian Francesco realizzò, nell'ala sinistra della villa, un teatro stabile che può considerarsi il più bell'esempio di teatro privato della regione Emilia Romagna.

Fu inaugurato nel 1763 con la tragedia di Voltaire "Alzira", interpretato dai nobili stessi:
Gian Francesco era un appassionato delle letture di Voltaire, importate e tradotte dallo suocero.
Il teatro divenne centro per lo sviluppo e la diffusione del teatro all'italiana con rappresentazioni delle compagnie più note dell'epoca.

E' un perfetto e completo teatro in scala ridotta, realizzato da Petronio Tadolini, con pitture di Basoli.

La sala è rettangolare, con due ordini di balconate.

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24 eleganti sculture in gesso di telamoni e cariatidi, la cui parte terminale è a forma di tritone, abbelliscono le strutture portanti delle balconate.
Un tempo fungevano da tedofori per l'illuminazione. 

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Quattro di esse terminano a colonna e hanno il cesto posato sulla testa, forse per essere riempito con frutta e frasche.

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Le pareti laterali della platea sono affrescate con influenza barocca a "trompe l'oeil" con putti e ghirlande, un'immaginario giardino fiorito.

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Le pareti delle due balconate superiori sono abbellite da affreschi in stile neoclassico.

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Il palcoscenico conserva ancora quattro quinte per ogni lato e uno scenario dipinto o restaurato probabilmente da Antonio Basoli.

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La delicatezza dei colori pastello degli affreschi e i corpi sinuosi che sorreggono le balconate ne fanno un ambiente raffinatissimo.

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Il teatro, dall'acustica perfetta, può ospitare 80 persone e, grazie alla gestione dell'Associazione "Cultura e Arte del 700", vi si svolge una regolare stagione di rappresentazioni e concerti.


Sempre grazie all'associazione, da settembre a giugno tutti i giovedì pomeriggio si effettuano visite guidate gratuite.

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LA PROPRIETA' MAZZACORATI

Nel 1824, dopo la morte dell'ultimo erede Carlo Filippo Aldrovandi, la villa rimase chiusa per alcuni anni, poi passò a Giuseppe Mazzacorati, che non fece nessuna modifica sostanziale, se non lo stemma che campeggia sulla facciata.

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E' rimasta a questa famiglia sino alla fine del 1800, una proprietà di lunga durata, tanto che la villa viene oggi riconosciuta con il nome delle due famiglie:
Aldrovandi-Mazzacorati.


LA PROPRIETA' SARTI

A fine '800 venne acquistata dalla famiglia Sarti, che la cedette nel 1928 all'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale. 
La villa divenne soggiorno estivo per bambini gracili e Ospedale Tisiatrico (Sanatorio dell'Opera Balilla).

Negli anni '70 fu sede dell'anagrafe e oggi, di proprietà della Regione Emilia Romagna, è utilizzata dal Servizio Sanitario Regionale come poliambulatorio.

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La villa ospita anche il Museo Storico del Soldatino "Mario Massacesi", che raccoglie più di 12.000 esemplari in vari materiali costruiti dal 1800 ad oggi.

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IL GIARDINO

La villa è circondata da un vasto giardino, oggi ne rimangono 3,6 ettari.

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Antistante la villa una porzione di giardino all'italiana con due fontane e magnolie.

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Un tempo vi erano 120 vasi con piante di agrumi (Serafino Calindri, dizionario Corografico, 1782) e una grande "cedraja" a lato della villa serviva a riparare i vasi di agrumi durante l'inverno.
La ex cedraja ha ospitato l'Asilo nido Rizzoli, ma da circa un decennio la struttura è abbandonata.

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Dietro alla villa anche una serra di orchidee.

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Il parco, di libero accesso, è stato aperto al pubblico nel 1974.


Bibliografia:
-rivista AD/BOLOGNA, editoriale Giorgio Mondadori, 1986.
-pieghevole "Parchi e Giardini Bolognesi-Villa Mazzacorati", a cura del Centro Villa Ghigi, 1992.
-Foglio informativo Giornate FAI di Primavera 2019.
-Emilia Romagna, Touring Editore, 2010


Sitografia:



sabato 13 aprile 2019

EX OSPEDALE PSICHIATRICO "FRANCESCO RONCATI" - Bologna

via S. Isaia, 90


A Bologna era famosa la frase "vai ben al 90!", come dire: "meglio se ti rinchiudi dentro un manicomio!".


Ospedale-Psichiatrico-Roncati-bologna-FOTO-Monica-Galeotti




Questo è tutto ciò che possiamo ricordare se non conosciamo la storia dell'Ospedale Roncati, un pezzo di storia cittadina nascosta, proprio come la sua facciata, che pochi conoscono perchè per vederla bisogna entrare da una piccola porticina di via Sant'Isaia.

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UNA STORIA INCREDIBILE


Nasce come Chiesa di San Giovanni Battista. Nel 1239 scendono in città le Monache dell'Eremo di Ronzano e costruiscono un romitorio per gli alloggi. 
Nel 1470 l'ordine viene sostituito dalla Monache Domenicane e il convento viene allargato fino ad avere 4 chiostri. 

 In seguito Napoleone converte il convento in caserma e poi ospizio.
Con la Restaurazione il convento viene occupato dalla Suore Salesiane.

A questo punto è bene fare un inciso:
fin dal 1710 era l'Ospedale Sant'Orsola che ricoverava i "fuori di cervello" presso le "sale dementi", in condizioni di assoluta trascuratezza e condizioni igieniche spaventose, anche se si trattava di uno dei primi ricoveri per malati mentali in Italia.

Un'epidemia di colera a Bologna nel 1865, nella disgrazia, diventa occasione per Francesco Roncati, che all'epoca dirigeva la Clinica psichiatrica al Sant'Orsola, di farsi avanti con precise richieste, dopo la morte di una paziente:
 convinse il Comune a trasferire i malati in altro luogo per scongiurare un'epidemia maggiore.

Venne scelto il Convento delle suore salesiane di via Sant'Isaia, che nel frattempo era diventato lazzaretto, e fu convertito in nuova sede della Clinica Psichiatrica:
i pazienti lasciarono il San'Orsola a piedi insieme a Roncati, per dirigersi verso la nuova collocazione, in quella che sarà ricordata come la "marcia dei pazzi", il 12 settembre 1865.

 La città di Bologna si doterà di un vero e proprio manicomio, partecipando alla costruzione del progetto psichiatrico italiano, inaugurato proprio in quegli anni.
Francesco Roncati divenne quindi il primo direttore e ne curò la ristrutturazione completa.
Uomo colto e brillante, fece sistemare l'ex monastero dagli stessi pazienti.
Divenne una struttura all'avanguardia per i tempi, con cure idroterapiche, attività ludiche, c'era il riscaldamento, le cucine, le mense, bagni e acqua corrente.


Roncati fu innovatore per la medicina dell'epoca e nello studio dei disturbi mentali, dove si discostò significativamente dalle teorie di Cesare Lombroso.
Diceva che, più del cretinismo, l'alcolismo e la pellagra, la malattia mentale è dovuta alla povertà.

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Francesco Roncati



Guiderà l'ospedale per 40 anni e, alla sua morte, nel 1906, donerà i suoi 2,5 milioni ai bisognosi.
"L'è mort al Dío ed puvrétt", dirà il popolo bolognese.




Gli subentrerà Raffaele Burgia nel 1908.

Progetto di ampliamento dell'Ospedale Psichiatrico Francesco Roncati, Emilio Boselli, 1908.
©www.spazidellafollia.eu

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Durante la Prima Guerra i pazienti ospitati nella struttura erano in continua crescita, arrivarono a 630, fra i quali 89 militari provenienti dal fronte, feriti nella mente più che nel fisico.
Molti anche i ricoveri femminili connessi alla guerra: la partenza di figli e mariti per il fronte, la morte o il ferimento di un familiare e le difficoltà economiche erano i fattori scatenanti dell'insorgenza di patologie come l'amenza (una grave forma di demenza) e la depressione grave.

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Il 1918 vide anche moltissimi ricoveri dovuti alla "spagnola", che fra il '18 e il '19 nel mondo causò circa 21 milioni di decessi.
Per il Roncati non ci sono dati completi sul numero dei decessi, ma è certo che la sezione femminile e relativo personale, fu particolarmente colpita: su 45 infermiere 32 si ammalarono, e le colleghe in salute portarono avanti il lavoro di assistenza con l'aiuto di guardarobiere e lavoratrici avventizie.
Il comportamento di abnegazione e serietà tenuto dal personale valse loro una menzione d'onore.

Nel 1921 a dirigere l'ospedale sarà Giulio Cesare Ferrari, che introdusse l'arte a scopo terapeutico (teatro e pittura).

Ospedale Roncati, 1929.
©Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana, Università la Bicocca, Fondo Ferrari.

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Cesare Ferrari.
©Aspi Archivio Storico.

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Nel 1933 Giuseppe Pellacani.
Contemporaneo alla nascita dell'ellettroshock, lo usò sempre con estrema cautela, mentre mai accettò l'insulino terapia, la più rischiosa.

Questa era la situazione esemplare che perdurò fino agli anni 1940.
Negli anni 1950/60 purtroppo al Roncati si praticava la cosiddetta "combinata": prima mandavano in coma con l'insulina, poi facevano l'elettroshock.

Nel 1967 Franco Basaglia fece domanda per diventare direttore del Roncati, ma fu bocciato: dargli l'incarico, conoscendo il suo pensiero che si era ampiamente manifestato, avrebbe significato stravolgere il manicomio.
In poche parole il Roncati non era ancora pronto, le idee di Basaglia per quell'epoca troppo all'avanguardia, nonostante le precedenti gestioni fino alla Seconda Guerra furono moderne e rivoluzionarie.


Franco Basaglia.
©raiplay.it

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Il Roncati venne chiuso dopo l'approvazione della legge n.180 Basaglia del 1978, che trasferirà i pazienti dall'ospedale ai servizi psichiatrici territoriali:
in pratica il Roncati continuerà ad essere operativo sino al 2000, con un servizio specializzato di igiene mentale.

Oggi l'ex ospedale psichiatrico, che ricopre un'area molto vasta, è formato dal Poliambulatorio Saragozza (Azienda USL di Bologna) con vari dipartimenti, considerato un'eccellenza, dove lavorano quasi 500 persone al servizio del cittadino.
Inoltre una vasta porzione comprende il Dipartimento Universitario delle Scienze Neurologiche che confina con il Liceo Augusto Righi.

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L'EDIFICIO


La grande facciata principale è quella del nucleo più antico del complesso: poggia le basi sull'antica Chiesa di San Giovanni Battista.

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Entro nell'edificio e subito colpisce il murales, dipinto su quello che era l'ingresso alla chiesa.

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E' stato dipinto dai pazienti in cura nella struttura, con il coordinamento di Jacopo Fo, figlio del grande Dario.

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La Sala delle Colonne, superato il murales, occupa lo spazio di quello che era l'interno della chiesa, poi refettorio delle donne, oggi sala riunioni.
Le colonne in ghisa sono della ditta Calzoni.
Sullo sfondo il muro è dipinto da → Gino Pellegrini, scenografo di fama mondiale.  
Famosa, nel bolognese, la sua "Piazzetta degli Inganni", a San Giovanni in Persiceto.






Una bella scultura collocata in un'ala dell'edificio fu realizzata da un paziente del manicomio di Imola.
Si hanno poche notizie in merito, non si conosce il nome dell'autore e per quale motivo sia arrivata a Bologna, forse un'esposizione, alla fine qui è rimasta.

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Mi allontano dalla scultura per salire al terrazzone del primo piano, che si affaccia sul cortile interno, un tempo uno dei chiostri del convento.

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All'ultimo piano di questa porzione di edificio entro nella Sala del Frontone.
E' veramente un privilegio sedere al tavolo di una sala così bella, a fianco del frontone della Chiesa di San Giovanni Battista, il più importante reperto di quest'antica chiesa.

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Per orientarci diremo che il frontone guarda i viali di circonvallazione.

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Il percorso di visita prevede la discesa ai sotterranei:
sono stati utilizzati come cucine del convento e poi come rifugio antiaereo.
In una stanza con volta a botte (tipica bolognese) si nota un camino.

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In alcuni punti vi sono spessi muri antisoffio.
Questo accorgimento era per cercare di limitare l'onda d'urto di un'esplosione durante le incursioni aeree.
Lo spostamento d'aria causato dallo scoppio era il cosiddetto "soffio".

Sui muri misteriose scritte, 

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vari oggetti abbandonati,

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e animali morti che si infilano in qualche fessura e non riescono più ad uscire.

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Oggi in questa vasta area girano i moderni tubi del riscaldamento.

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Racconta Massimo Brunelli dell'Associazione "Amici delle Acque" nella trasmissione "Dedalus, il Roncati di Bologna": "Nessun rifugio sotto un edificio era sicuro al 100%, perchè le sistemazioni erano state effettuate secondo gli ordigni della Prima Guerra, dove al massimo le bombe pesavano 100 kg.
Nella Seconda Guerra invece c'erano i cosiddetti "cookies", dolcetti, che pesavano anche 2 t e sganciati da 3-5000 metri potevano sfondare un palazzo di 5 piani, quindi arrivare alle fondamenta".



Ora salgo alla Torretta dell'Orologio, che si eleva dalla facciata principale.

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Nel sottotetto nuovi legni si confondono con le capriate del 1600 dell'antica chiesa.

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Il meccanismo dell'orologio non è più funzionante, ma i due fili delle ore e delle mezze ore sono collegati alle campane sopra l'altana e vengono tirati a mano durante la visita come dimostrazione, tanto che gli abitanti del quartiere si chiedono cosa saranno mai quei rintocchi di campana che suonano ogni tanto improvvisamente senza motivo 😊

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L'orologio è del 1872.

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La finestrella dietro all'orologio, che ricorda quella di via Piella, regala una vista sui colli a 180°.

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La panoramica, per gentile concessione dell' "Associazione Amici delle vie d'Acqua e dei Sotterranei di Bologna"©, illustra dettagliatamente ciò che si può riconoscere all'affaccio.

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La torre della Facoltà di Ingegneria.

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E, sempre presente, San Luca.

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"Ciascuno di noi ha un granello di follia che può venire a galla in qualsiasi momento e ad esso dobbiamo anche una parte importante dell'arte e del pensiero umano". 
(Franco Basaglia)






                                → CERCA BOLOGNA


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Note:
lettura consigliata - Elisa Montanari, "Sant'Isaia 90, Cent'anni di Follia a Bologna", ed. Pendragon, 2015.



Elenco delle fonti utilizzate per la ricerca:

-Visita guidata a cura degli "Amici delle via d'Acqua e dei Sotterranei di Bologna".
-Video "Dedalus Il Roncati di Bologna", a cura di E' TV Rete7.

Bibliografia:
- C. Ricci e G. Zucchini, "Guida di Bologna", ed. Alfa, 1976.

Sitografia:
-cittametropolitana/biblioteca-della-salute-mentale-e-delle-scienze-umane
-risme.cittametropolitana
-storiaememoriadibologna/ospedale-psichiatrico-francesco-roncati
-redattoresociale/i-cento-anni-del-roncati-di-bologna
-spazidellafollia
-wikipedia/francescoroncati