giovedì 17 febbraio 2022

THE MAST COLLECTION

via Speranza, 42 - BOLOGNA



Un alfabeto visivo dell'industria, del lavoro e della tecnologia.


The Heavens. Annual Report, 2013
© Paolo Woods, Gabriele Galimberti, courtesy of the artists 






La Fondazione MAST espone per la prima volta una selezione di opere della sua collezione:
oltre 500 immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi.


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La mostra condensa gli ultimi 200 anni di storia ricchi, folli, intensi, esplosivi in opere che raccontano della nostra quotidianità.
È il racconto del processo di industrializzazione e l'elogio alla dignità del lavoro.


Napoli, via Nuova Bagnoli n. 512, 1975 © Mimmo Jodice 






La Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell'industria e del lavoro, conta più di 6000 immagini e video di celebri artisti e maestri dell’obiettivo, oltre ad una vasta selezione di album fotografici di autori sconosciuti.


Addetta al magazzino (con olio che le cola dalle mani), 2013 © Brian Griffin, courtesy of the artist




Nel 2013 la Fondazione ha creato questo spazio appositamente dedicato alla fotografia dell'industria e del lavoro con l'acquisizione di immagini da case d'asta, collezioni private, gallerie d'arte, fotografi ed artisti. Il patrimonio della Fondazione, che già conteneva un fondo che raccoglieva filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album, cataloghi che negli stabilimenti di Coesia venivano prodotti fin dai primi del '900, si è così arricchito ed andato al di là dei parametri di materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia opere del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo con un processo di selezione valoriale e un accurato approccio metodologico a cura di Urs Stahel.


Dorothea Lange - Madre migrante, 1936 




Tra gli artisti in mostra: Paola Agosti, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, Thomas Demand, Robert Doisneau, Walker Evans, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, André Kertesz, Josef Koudelka, Dorotohea Lange, Erich Lessing, Herbert List, David Lynch, Don McCullin, Nino Migliori, Tina Modotti, Ugo Mulas, Vik Muniz, Walter Niedermayr, Helga Paris, Thomas Ruff, Sebastiao Salgado, August Sanders, W. Eugene Smith, Edward Steichen, Thomas Struth, Carlo Valsecchi, Edward Weston.


Carbone e carburante sul Rhein-Herne-Kanal a Gelsenkirchen, 1995 © Ruth Hallensleben Archive, courtesy of Anton Laska



La mostra, proprio per la sua complessità, è strutturata in 53 capitoli dedicata ad altrettanti concetti illustrati nelle opere rappresentate. La forma espositiva è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti dei tre spazi espositivi (PhotoGallery, Foyer e Livello O) e che permette di mettere in rilievo un sistema concettuale che dalla A di Abandoned e Architecture arriva fino alla W di Waste, Water, Wealth.


Saarland, paesaggio industriale 3, 1950
© Estate Otto Steinert, Museum Folkwang, Essen



"L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando I’attenzione all’interno delle opere - spiega il curatore, Urs Stahel - Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti.


Questi 53 capitoli rappresentano altrettante isole tematiche nelle quali convivono vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. Costituiscono il punto di incontro delle percezioni, degli atteggiamenti e dei progetti più disparati. La fotografia documentaria incontra l'arte concettuale, gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diverse tipologie di carta fotografica, come le stampe all'albumina, si confrontano con le ultime novità in fatto di stampe digitali e inkjet; le immagini dominate dal bianco e nero più profondo si affiancano a rappresentazioni visive dai colori vivaci. I paesaggi cupi caratteristici dell’industria pesante contrastano con gli scintillanti impianti high-tech, il duro lavoro manuale e la maestria artigianale trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio.


Gli ultimi giorni del Kuomintang (crollo del mercato), Shanghai, China, 1948-1949
© Fondation Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos 





Sul piano della scansione cronologica solo il XIX secolo è stato affrontato separatamente in una sezione dedicata alle fasi iniziali dell’industrializzazione e della storia della fotografia. Il filo conduttore è spesso costellato dai numerosi ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati, persone in cerca di lavoro e migranti.


 Il parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità - prosegue Urs Stahel - produce a tratti un effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell'industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento".


Pozzo petrolifero, Burhan, Kuwait
© Sebastiao Salgado/Amazonas Images/Contrasto



La mostra documenta inoltre il progresso tecnologico e lo sforzo analogico sia del settore industriale sia della fotografia, rappresentato oggi dai dispositivi digitali ultra leggeri, in perenne connessione, capaci di documentare, stampare e condividere il mondo in immagini digitali e stampe 3D. Dall'industria, dalla fotografia e dalla modernità si passa all'alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-post­ modernità, ovvero a una sorta di contemporaneità 4.0. Dalla semplice copia della realtà alle immagini generate dall'intelligenza artificiale.


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Perchè ho visitato la mostra con le immagini che riguardano il lavoro?

Per lo stesso motivo che mi porta ad esplorare le mostre al completo durante la Biennale di Foto/Industria: perchè è un omaggio.

Un omaggio a tutto quello che circonda la parola "lavoro": dignità, progresso, valore sociale.


Il lavoro, quando si ha la fortuna di averlo, abita le nostre vite e ci salva (quando non è sfruttamento), e la Fondazione ce lo ricorda.


La Collezione di Fotografia dell'Industria e del Lavoro, va a formare, a forgiare la Biennale di Bologna, un eccellente ideale artistico e sociale, progetto culturale aperto e gratuito voluto dall'imprenditrice e filantropa Isabella Seragnoli.


Senza titolo, 2007
© Florian Maier-Aichen, courtesy of the artist and Blum & Poe, Los Angeles/New York/Tokyo





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THE MAST COLLECTION

10 febbraio - 22 maggio 2022


Ingresso gratuito

Martedì - Domenica 10 - 19





LA BIENNALE DI FOTO/INDUSTRIA


IL MAST



lunedì 14 febbraio 2022

BASILICA DI SANTA MARIA DEI SERVI

Strada Maggiore, 43 - BOLOGNA


La Basilica di Santa Maria dei Servi (e il suo convento annesso) è stata fondata nel 1346 dall’Ordine dei Servi di Maria, grazie ad una donazione del ricco banchiere e vicario papale di Bologna Taddeo Pepoli.


È famosa per conservare la tavola "Maestà di Santa Maria dei Servi", di Cimabue.


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LA STORIA

"Nel 1233, a Firenze, viene fondato l'Ordine dei Servi di Maria ma, per le disposizioni del Concilio di Lione II, nel 1274 l’Ordine dei Servi rischia di essere soppresso, in quanto non ha ancora ricevuto un riconoscimento ufficiale ed è accusato di vivere di "incerta mendicitàs"; l’intervento del priore generale Filippo Benizi e dei tre avvocati chiamati a perorare la sua causa, permette di perpetuare l’ordine, dimostrando che non è un Ordine Mendicante ma dispone di beni sufficienti a garantirgli l’autonomia economica.
Il convento di Bologna in particolare viene portato come esempio del gran numero di proprietà e redditi dell’ordine stesso.
L’11 febbraio 1304 Papa Benedetto XI approva definitivamente l’Ordine dei Servi composto da circa 300 frati."¹

L'ordine, partendo da Firenze e Bologna, i due centri più importanti, si espande in Italia e in Europa per secoli.

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Con l’invasione napoleonica del 1797 chiesa e convento vennero trasformati in caserma fino al 1815, anno in cui i Servi di Maria entrarono nuovamente in possesso della Chiesa.

Altro destino invece per il Convento, come si potrà vedere nel link a piè di pagina.



IL PORTICO

A quasi cinquant’anni di distanza, nel 1393, venne costruito, su progetto di Antonio di Vincenzo, il famoso portico che fiancheggia il lato sinistro della chiesa prospettando Strada Maggiore.

Nelle arcate sottostanti, in pratica il muro esterno della chiesa, vennero eseguiti affreschi nel '400, dedicati alla vita di San Filippo Benizi. 
Successivamente poi coperti nel 1629 da nuove pitture, alle quali lavorarono Carlo Cignani e bottega, Giuseppe Maria Mitelli e altri.
Ancora oggi alcune lunette si possono ammirare, mentre altre, staccate per via del deterioramento, sono state restaurate e si conservano all’interno del ex convento.

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Portico lato Strada Maggiore


Il portico e i suoi affreschi sulla vita del santo fu ordinato dall’Ordine dei Servi per mostrare ancora di più alla città la grandezza del proprio fondatore. 

Le altre arcate furono progressivamente aggiunte. 
L’aspetto attuale a forma di quadriportico lo si deve a Giuseppe Modonesi, ingegnere comunale che, nel 1864, per lo scopo, fece demolire la chiesa di San Tommaso.

Identificare gli episodi della vita di Filippo Benizi non è facile, a causa del degrado che ha danneggiato la superficie pittorica: alcuni illeggibili, altri identificati grazie al restauro, soprattutto quelli staccati e portati all'interno dell'ex convento.

A seguire due lunette ancora visibili lato facciata della basilica, dove inizia cronologicamente la vita del santo.

"La Beata Vergine che su un carro d'oro porge l'abito al santo giovane", di G. Ces. Milani.

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"L'Ubbidienza che invita il Santo a uscire dal deserto", di Alessandro Mari.

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LA FACCIATA

La semplice muratura laterizia della facciata presenta un oculo circolare per un rosone mai realizzato.

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Il meraviglioso portico la fa da padrone, con le sue colonnette in marmo veronese.

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Essendo Bologna la città dei portici, entrati recentemente a far parte del patrimonio UNESCO, ci si può soffermare per una considerazione:
mentre il tratto di portico costruito alla fine del 1300 da Antonio di Vincenzo lungo il fianco della chiesa risulta architettonicamente solido, il quadriportico davanti alla chiesa, costruito da Modonesi a metà del 1800 risulta esteticamente meraviglioso ma secondo i testi irrazionale, imprudente.
Per via della sua poca solidità necessita di continui restauri, ma si è guadagnato l'appellativo di essere il PIÙ LARGO DELLA CITTÀ.

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GLI INTERNI

La chiesa presenta tre navate, le volte a crociera sono sorrette da archi acuti con costoloni in cotto.
Singolare l’alternanza di colonne circolari e colonne ottagonali.

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Il pavimento in maltagliato bolognese della seconda metà dell’Ottocento è stato restaurato nel 2007 con un finanziamento della Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna.

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Le cappelle sono ricche di opere d’arte.


LATO SINISTRO

Cappella dell'Addolorata.
"Addolorata", statua di Angelo Piò.
Ha una ricca ancona, di Francesco Tadolini con sculture di Petronio Tadolini, e un'elegante cancellata.

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"Noli me tangere", di Francesco Albani, 1644.
Gli affreschi intorno sono di Francesco Santini.

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Ingresso laterale contornato dal "Monumento a Ludovico Gozzadini" (morto nel 1536), di Giovanni Zacchi da Volterra, 1540 circa.

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Crocifisso seicentesco in cartapesta e gesso, fatto con mazzi di carte da gioco sequestrati nelle bische.

Allo stesso modo la splendida "Pietà" di Domenico Piò, all'interno della Chiesa del Crocifisso in Santo Stefano.

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"Sant'Andrea apostolo", di Francesco Albani, 1641.
Sant'Andrea adora la croce preparata al suo martirio.

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"Assunta", di Pietro Faccini.

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"Annunciazione", di Innocenzo da Imola.

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ALTARE MAGGIORE
Tabernacolo marmoreo con "Cristo risorto fra la Vergine e san Giovanni Battista, con i santi Pietro e Paolo, di Giovanni Angelo da Montorsolo.

La luminosità dell'abside aumenta il fascino e la bellezza di questa opera scultorea.

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Nel peristilio che circonda il coro e l'altare si aprono cappelle radiali, cioè seguono geometricamente i raggi dell'abside:

in primo luogo la preziosa tavola

 "Madonna col bambino e angeli", di Cimabue, donata ai Serviti da Taddeo Pepoli nel 1345.

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Alla parete "Madonna col bambino e i santi Cosma e Damiano", di Lippo di Dalmasio.

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A seguire, "Il crocifisso, con ai lati la Vergine e San Giovanni", di Orazio Samacchini.
Questo dipinto ricorda l'altro di Bartolomeo Cesi posto come pala d'altare nella chiesa della Certosa.

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"La messa miracolosa di S. Gregorio Magno", di G. B. Fiorini e Cesare Aretusi.

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Ancona in terracotta policroma 
"Vergine col Bambino tra i santi Lorenzo ed Eustachio", di Vincenzo Onofri, 1503.

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Polittico di Lippo Dalmasio.

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Concluso il corridoio circolare dietro l'abside, proseguo lungo la navata destra, che percorro a partire dall'altare.

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Superata la porta della Sagrestia trovo:

la statua di San Filippo Benizi, dei Graziani di Faenza, sec. XIV.

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Nel pilastro destro della stessa cappella:
"Sant'Onofrio", di Dionisio Calvart e in basso "Lo sposalizio mistico di S. Caterina, di Lippo Dalmasio.

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"Il Paradiso", di Dionisio Calvart, 1602.
Notevole per la composizione.

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"Sant'Anna che insegna a leggere alla Vergine con S.Antonio in presenza di vari santi", di Gaetano Bonola.

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Prima di uscire guardo "La nascita della Madonna", di Alessandro Tiarini, affrescata sulla porta maggiore.

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      A tutto questo aggiungo Guccini, che nei suoi brani ha raccontato di sè e di Bologna.
In questo stralcio passeggiava con Roberta, sua prima moglie, sotto al portico dei Servi.

"Ricordi fui con te a Santa Lucia, al portico dei Servi per Natale,
credevo che Bologna fosse mia: ballammo insieme all'anno o a Carnevale"
Francesco Guccini, "Eskimo" (nona strofa).

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Il percorso prosegue 






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Bibliografia:

-Corrado Ricci e Guido Zucchini, "Guida di Bologna", Edizioni Alfa Bologna, 1968, ristampa 1976.


venerdì 4 febbraio 2022

GALLERIE DELL'ACCADEMIA

 Campo della Carità - Dorsoduro - VENEZIA


Le Gallerie dell’Accademia sono un Istituto Culturale che conserva la più importante collezione veneziana di dipinti e copre un periodo di quasi sei secoli d’arte, dal 1300 al 1880.


L’istituto fa parte delle 18 sedi che il Ministero della Cultura (MIC) in Veneto tutela e promuove come patrimonio culturale. 

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Si trovano nel Sestiere di Dorsoduro ai piedi del Ponte dell’Accademia.

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©google earth - ©mappatura Monica Galeotti


La ricchissima collezione possiede dipinti del Trecento gotico e bizantino, i capolavori del Rinascimento, con pittori come Paolo Veronese, Giovanni Bellini, Tintoretto, Tiziano, Giorgione, Vittore Carpaccio e opere del periodo barocco con il Tiepolo.

Le gallerie occupano tre edifici:
-la Chiesa di Santa Maria della Carità
-il Convento dei Canonici Lateranensi
-la Scuola Grande di Santa Maria della Carità, confraternita laica del 1268, fra le più antiche di Venezia. 
L’ingresso è dal portale di quest’ultima. 

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LA STORIA

Nel 1807 gli edifici furono scelti per ospitare opere provenienti da chiese e istituti religiosi soppressi da Napoleone, e sono opera di alcuni fra i maggiori architetti veneti: 
-Bartolomeo Bon (1405-1467), completò la facciata gotica del convento di Santa Maria della Carità, nel 1448.
-Andrea Palladio (1508-1580), progettò in stile classico il Convento dei Canonici Lateranensi, in seguito annesso all’Accademia, nel 1561.
-Carlo Scarpa (1906-1978), curò i lavori di restauro dal 1949 al 1954 con un approccio minimalista senza alterare il lavoro effettuato dagli architetti nel corso dei secoli. 

Oltre che come contenitore di preziosissime opere d’arte gli edifici furono sede dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. 

Nel 1817 le gallerie furono aperte al pubblico.

Le gallerie prendono quindi il nome dall’Accademia di Belle Arti che ne ha condiviso la sede fino al 2004.

L’Accademia di Belle Arti nel 2004 viene trasferita nell’ex Ospedale degli Incurabili, in Fondamenta Zattere allo Spirito Santo, sempre a Dorsoduro, per riuscire ad ospitare il numero crescente degli studenti iscritti.

Nel 2008 nasce una succursale nell’Isola di San Servolo, aperta con la lectio magistralis di Brian Eno.

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©google earth - ©mappatura Monica Galeotti



Allo stesso tempo le gallerie in questa sede si sono ampliate diventando unicamente un museo statale italiano.


LE SALE

La collezione è un insieme fra le opere da sempre esistenti in Santa Maria della Carità e nella sua Scuola, opere raccolte durante le soppressioni, opere acquistate appositamente e infine opere arrivate tramite donazioni.


Il percorso espositivo è cronologico, inizia al primo piano con le opere dal 1300 al 1600, e si conclude al piano terra, con opere dal 1600 al 1880.


Della immensa collezione ho fotografato le opere principali.



PRIMO PIANO
Sale I-XXIV → dal 1300 al 1600
Per le sale del primo piano vengono utilizzati i numeri romani. 






Sala I 
Alla prima sala si accede attraverso un doppio scalone settecentesco.

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La sala occupa gli spazi della sala del capitolo della Scuola Grande della Carità.
Il soffitto è quello originale, realizzato dal confratello vicentino Marco Cozzi fra il 1461 e il 1484 con angeli a otto ali dai volti tutti differenti.

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Il pavimento è una ristrutturazione settecentesca e l'allestimento è di Carlo Scarpa.

Vi sono opere di Jacobello del Fiore, Lorenzo Veneziano, Paolo Veneziano.

In primo piano a sinistra "Polittico dell'Incoronazione della Vergine", Paolo Veneziano, ante 1349; proviene dal complesso monastico delle clarisse di Santa Chiara di Venezia.
A destra "Madonna con bambino in trono e due committenti", Paolo Veneziano.

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Sala II

"Crocifissione e apoteosi dei diecimila martiri del monte Ararat", Vittore Carpaccio, pala, 1515.
Il soggetto, inedito prima di allora nell'arte italiana, narra la vicenda dei diecimila martiri: novemila soldati romani alla guida di Acazio combattono contro i ribelli armeni, vengono sconfitti e soltanto con la conversione al cristianesimo, avvenuta dopo l'apparizione di un angelo che li istruisce ai precetti della fede sul monte Ararat, raffigurato sullo sfondo, riescono a vincere il nemico.
La notizia arriva all'imperatore che, con altri sei re pagani, riconoscibili negli uomini a cavallo in basso a destra, giunse sul posto per torturare i convertiti.
Ad Acazio si aggiungono altri mille soldati, che subiscono la stessa sorte.
Il dipinto comprende i vari episodi della vicenda: è sicuramente distante dalle serene riproduzioni di Giovanni Bellini.

In occasione di una mostra dedicata esclusivamente al Carpaccio e per la "crudezza" della visione, Giuseppe Cipriani, fondatore dell'Harry's Bar, diede il nome di questo pittore al piatto di sua invenzione a base di carne cruda.

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"Madonna col bambino in trono, angeli musicanti e i santi Francesco, Giovanni Battista, Giobbe, Domenico, Sebastiano e Ludovico da Tolosa"(Pala di San Giobbe), di Giovanni Bellini, 1487.
Proviene dalla chiesa di San Giobbe, Venezia.

É una dolcissima Madonna che emerge da una nicchia buia, con tre angeli musicanti ai piedi del trono.
I martiri in primo piano ai lati, San Rocco e San Sebastiano, fanno supporre che l'opera risalga alla seconda epidemia di peste a Venezia (1478).

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Sala III

Nella sala le due principali botteghe operanti a Venezia di questo periodo storico, quella di Jacopo Bellini e figli e quella di Antonio Vivarini, originario di Murano, e figli.


"Il beato Lorenzo Giustiniani", di Gentile Bellini.
La critica ipotizza la funzione del dipinto come stendardo processionale.
Gentile Bellini, figlio del più famoso Jacopo, era famoso anche fuori da Venezia per la sua attività ritrattistica. 
La figura di profilo, tipica della medaglistica romana imperiale, viene rinnovata a figura intera.
Diventa un successo, lo testimoniano le numerose copie esistenti.
Il festone presente sulla parte superiore della tela ricorda alcune soluzioni di Andrea Mantegna, di cui Gentile era il cognato.

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Sala IV
Sala dedicata alle opere di piccolo formato di Giovanni Bellini, altro figlio di Jacopo.

"Madonna col bambino (Madonna dei cherubini rossi), di Giovanni Bellini, 1485-1490.
Tavola donata alla Scuola della Carità da un confratello.
I cherubini, dalle orbite vuote e dipinti di un color rosso acceso, antinaturalistici e arcaici, citano il prototipo di Jacopo Bellini, presente alle Gallerie.

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"San Giorgio", di Andrea Mantegna.

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"Ritratto di giovane uomo", di Hans Memling, 1480 circa.
Il pittore fu protagonista della pittura fiamminga del secondo Quattrocento, apprezzato anche in Italia grazie all'interesse dei Medici e, a Venezia, dei cardinali Bembo e Grimani.
È possibile che il personaggio, in base all'abito, al copricapo e al taglio di capelli, fosse un mercante italiano attivo a Bruges, dove commissionò la propria immagine a Memling.

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Sala V

In questa sala la produzione matura di Giovanni Bellini.

"Testa di Cristo e cartiglio", Giovanni Bellini, frammenti di una Trasfigurazione, 1500-1505 circa.

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Sala VI/A

"Angelo annunciante e Vergine annunciata", di Giovanni Bellini, 1490 circa.
Si tratta della decorazione delle ante d'organo della Chiesa di Santa Maria dei Miracoli.
In questo caso l'Annunciazione era visibile ad ante chiuse.
Il rivestimento parietale della stanza di Maria evoca la preziosa decorazione quattrocentesca in marmo pavonazzetto ancora visibile all'interno della chiesa di provenienza.

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Sala VI/B

In questa sala l'intero ciclo pittorico per la sala dell'albergo della Scuola Grande di San Marco.
L'impresa si compone di sette tele, iniziata da Gentile Bellini nel 1504, proseguita dal fratello Giovanni, entrambi membri della confraternita, e portata avanti dalla loro bottega.
Gli episodi riguardano la missione di San Marco ad Alessandria d'Egitto, molto importanti per la legittimazione cristiana commerciale di Venezia sul Mediterraneo, dove molti della confraternita avevano rilevanti interessi economici.

"Martirio di San Marco", di Giovanni Bellini, 1515; terminato da Vittore Belliniano (lo consegnò nel 1526) a causa della morte del Bellini nel 1516.
Narra l'uccisione del santo patrono di Venezia, trascinato per le vie d'Alessandria d'Egitto.
L'episodio è curiosamente posto in basso a sinistra, mentre ampio spazio è lasciato alla folla fra cui si riconoscono i membri della Scuola di San Marco vestiti di nero.

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Sala VII

Le straordinarie visioni di Jheronimus Bosch.

Questo ambiente minimo e raccolto evoca un "camerino" del Cinquecento, dove si conservavano le opere più preziose di una raccolta.
In questo caso la raccolta del Cardinale Domenico Grimani (vedi Palazzo Grimani) e sono le uniche presenti in una collezione pubblica italiana.


"Quattro visioni dell'aldilà", di J. Bosch, 1505-1515 circa.
Le "visioni" si presuppone facessero parte di una composizione più complessa, incentrata sul Giudizio Universale.
Sembrano collegabili a testi diffusi nelle Fiandre come Le visioni di Tundalo del XII secolo o la stessa Commedia di Dante, tradotta in lingua olandese nel 1484 proprio a 's-Hertogenbosch, città del pittore.

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"Trittico degli eremiti", J. Bosch, 1495-1505 circa.
La tavola centrale raffigura San Girolamo mentre contempla il crocifisso in quella che un tempo doveva essere stata una cappella.

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Sala VIII

Giorgione e la nascita della "maniera moderna" a Venezia.

Giorgione influenzò la scuola pittorica veneta, rinnovandola nello stile e nei temi.
Abbandona le rappresentazioni tradizionali e si concentra sul colore naturale.
Il famoso dipinto "La vecchia", amara riflessione sulla vecchiaia, era mancante per un prestito al momento della mia visita.
Ebbe un peso determinante sulla formazione di Tiziano Vecellio, qui a seguire in una sua opera giovanile.

"Tobiolo e l'Arcangelo Raffaele", Tiziano, inizio 1500.
L'iconografia è spesso riconducibile alla committenza di famiglie mercantili che, in occasione del primo viaggio dei figli più giovani invocavano la protezione dell'Arcangelo.

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Sala X

Le numerose opere di questa sala celebrano Paolo Veronese, protagonista del Cinquecento a Venezia.
Si trasferisce ventenne a Venezia dalla natia Verona e diventa in breve molto richiesto dai circoli aristocratici, con la sua arte colta, raffinata e monumentale.

Su tutte:
"Convito in casa di Levi", 1573.
Fu eseguito per il refettorio del convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo, ultima di una serie di "cene", come ad esempio "Le nozze di Cana", che si trova al Louvre di fronte alla Gioconda e riprodotto in perfetta copia nel Refettorio Palladiano della Fondazione Giorgio Cini (Isola di San Giorgio). 

Questo quadro è celebre anche per essere stato il trionfo dell'arte sulla censura.
Il dipinto era intitolato "L'ultima cena", ma l'Inquisizione lo bollò come sacrilego, per la presenza di buffoni, nani, cani, musulmani, tedeschi che simpatizzavano per la Riforma, mescolati agli apostoli.

Veronese si rifiutò di modificare il dipinto, peraltro già ultimato, ma acconsentì a cambiare il titolo, facendo riferimento ad una scena di banchetto nel quinto capitolo del vangelo di Luca, e Venezia lo sostenne.

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Ho osservato il dipinto prendendomi un pò di tempo, soffermandomi sui singoli personaggi e gli animali presenti.
Una stupenda composizione artistica e una fotografia della Venezia del tempo.

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Molte sale sono chiuse per lavori di restauro architettonico e di prossima riapertura, quindi entro nelle ultime due sale che chiudono degnamente questa collezione del primo piano.



Sala XXIII

La sala comprende l'originaria chiesa di Santa Maria della Trinità.
Ospita mostre temporanee e alcuni fra i capolavori delle Gallerie.


"Angeli inginocchiati", cerchia di Pietro Lombardo, fine XV secolo.

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"Santa martire, Santa Chiara", di Alvise Vivarini, 1485 circa.
Le due tavole mostrano una non ancora identificata santa martire e provengono da un altarino sotto il coro della chiesa di San Daniele a Murano.
Le figure, spoglie di qualsiasi elemento decorativo eccetto gli attributi del martirio, esprimono austerità morale e spirituale.

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Sala XXIV

L'ultima sala è l'originaria Sala dell'Albergo della Scuola Grande della Carità, luogo di riunione dei membri più autorevoli.

Sulla parete di fondo "Presentazione di Maria al Tempio con i confratelli della Scuola Grande della Carità", di Tiziano, 1534-1538, realizzata appositamente per questo ambiente.

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Raffigura la Madonna bambina che sale una scala sotto gli occhi di tutti.

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Il soffitto dorato e policromo, restaurato nel 2012 da Save Venice, è fra i più importanti di Venezia in quanto è l'unico figurato del '400 sopravvissuto in laguna.

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Fu realizzato da intagliatori veneziani della fine del XV secolo: vede il Cristo Pantocratore fra i quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

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PIANO TERRA
Sale 1-13 → dal 1600 al 1880
Per le sale del piano terra vengono utilizzati i numeri arabi.




Sala 1

La prima sala del piano terra ospita i ritratti di numerosi artisti del Settecento e Ottocento.


"Autoritratto", di Francesco Hayez, 1878, dono dell'autore.
Il pittore ha dipinto numerosi autoritratti, a partire dai suoi 31 anni, e questo è uno dei più celebri, dipinto quando di anni ne aveva 87.
L'artista si presenta seduto nel proprio studio brandendo un pennello.

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Sala 2
Le due opere di grandi dimensioni esposte in questa sala sono di Paolo Veronese e del Tiepolo.
Le tele a confronto sono indipendenti ma dimostrano che Veronese per il Tiepolo è stata una fonte di ispirazione.

A sinistra: "Venezia riceve l'omaggio di Ercole e Cerere", Paolo Veronese, 1575 circa.
Proviene da Palazzo Ducale, ufficio per l'importazione e vendita del grano.
Venezia è seduta sul trono fra Ercole (Virtù eroica) e Cerere che le offre un fascio di grano, emblema  dell'abbondanza proveniente dal buon governo della Repubblica.

A fronte: "L'esaltazione della croce e Sant'Elena", Gianbattista Tiepolo, 1750 circa.
 Realizzato per il soffitto della chiesa delle Cappuccine a Castello.
Rappresenta la scoperta della Vera Croce da parte di Elena, madre dell'imperatore Costantino, durante un pellegrinaggio a Gerusalemme.

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Sala 3

Sulla parete un insieme di opere con le quali si intende ricostruire una ipotetica collezione di casa privata veneziana del '600.

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Spicca:
"Cristo e l'adultera", del Tintoretto, seconda metà del '500.
La scena rappresenta il momento in cui Gesù si rivolge alla genti che hanno portato a lui l'adultera, dicendo: "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra".

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Sala 6

"Castigo dei Serpenti", di Giambattista Tiepolo, 1734 circa.
Questa opera monumentale è un capolavoro assoluto, una tela di oltre 13 metri di lunghezza.
 Rappresenta l'episodio biblico della punizione di Dio verso il popolo di Israele, per aver messo in discussione la propria fede durante la traversata nel deserto, sfiancato da fame e sete.
Dio quindi li condanna a morire per morsi di rettili velenosi, Mosè lo supplica di fermare la strage e allora Dio fa erigere un palo con un serpente in bronzo, capace di dare salvezza a coloro che gli avessero volto lo sguardo.

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Le cornici curvilinee, arricchite da elementi vegetali e festoni di frutta, esaltano l'effetto illusionistico dei corpi che sporgono audacemente nello spazio dello spettatore.

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Le scene mitologiche di Giambattista Tiepolo, 1721 circa.

Ispirate alle Metamorfosi di Ovidio, sono una testimonianza della maniera giovanile del pittore.

"Giudizio di Mida"              "Diana e Atteone"

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"Ratto di Europa"  "Diana scopre Callisto incinta"



Nella stessa sala dedicata al Tiepolo trovo Pietro Longhi, con la messa in scena della vita domestica veneziana, 6 tele dove si svolgono frammenti di vita quotidiana, 1741 circa.
I protagonisti rappresentano le diverse classi sociali di Venezia, osservati nel quotidiano, proprio come avviene nelle commedie di Carlo Goldoni.
In entrambi i casi colpisce il ruolo primario della donna, che a Venezia gode di libertà senza paragoni per l'epoca.

Da sinistra:
"La toelette della dama", "La lezione di danza", "Il concertino", "Il farmacista", "L'indovino", "Il sarto".

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Altre tele di Pietro Longhi si trovano a Ca' Rezzonico, sul Canal Grande, a Dorsoduro.




Sala 7

La sala 7 è una loggia/corridoio contenente calchi in gesso di Antonio Canova con rilievi narrativi.

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I primi rilievi sono 4 steli funerarie, tra i raggiungimenti più alti dell'artista per brevità e incisività dell'assunto narrativo.
Da sinistra:
stele funeraria di Giovanni Volpato, di Alexandra de Souza Holstein, di Willem George d'Orange, di Giovanni Falier.

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Di particolare importanza i modelli originali in gesso di 6 metope, ultima creazione artistica di Canova, tutte realizzate per il Tempio della Trinità di Possagno, dove riposa l'artista, morto nello stesso anno della realizzazione di queste opere, 1822.
Da sinistra:
"Creazione dell'uomo", "Uccisione di Abele", "Sacrificio di Isacco", "Annunciazione", "Visitazione" e "Presentazione di Gesù al Tempio".

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"Visitazione", Antonio Canova, 1822



La sequenza si conclude con due calchi con episodi tratti da poemi omerici, che non vennero mai scolpiti in marmo e provengono dal deposito del Museo Correr:
"Socrate congeda la famiglia" e "Morte di Priamo", 1794.

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Modello del Monumento a Tiziano, poi realizzato in marmo dai discepoli del Canova come Monumento funebre a lui dedicato per la Basilica dei Frari.

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Infine i grandi calchi di due leoni per il monumento di papa Rezzonico, Clemente XIII, in San Pietro.
Straordinaria la resa naturalistica.

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Attraverso questa ricchissima collezione di dipinti le Gallerie non sono solo cultura accademica, ma rivelano usi e costumi di un'epoca.





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Bibliografia:
- legende Gallerie dell'Accademia



Sitografia: