martedì 28 settembre 2021

MONTE MULAZ (Rifugio Volpi al Mulaz)

Pale di San Martino
Falcade (BL)

aggiornato 2022


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Il Monte Mulaz fa parte del SISTEMA DOLOMITICO NUMERO 3 UNESCO, inserito nella sezione Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino. 






ACCESSI

Si può arrivare da:

- Garés, sentiero 754,752 e 722, ore 4,30-5 ↝ EE
- Falcade, sentiero 722, ore 4-4,15 ↝ E
- Passo di Vallés, sentiero 751, ore 3-3.30 E
-Passo Rolle-Baita Segantini, sentiero 710A e 710, ore 3 ↝ E
-Val Venegia- parcheggio Pian dei Casoni, sentiero 710, ore 3 ↝ E

Distanze diverse, caratteristiche diverse, ma ogni percorso è piuttosto impegnativo. 

©google earth - ©mappatura Monica Galeotti
©google earth - ©mappatura Monica Galeotti


L’ itinerario da me scelto prevede l’accesso dalla Val Venegia. 

DALLA VAL VENEGIA AL RIFUGIO MULAZ

Difficoltà: E
Dislivello: 925m
Tempo:
-ore 3 andata (da Pian dei Casoni)
     -ore 2,40 ritorno 


Lunghezza complessiva andata e ritorno sullo stesso percorso: 12,6 km


©relive - ©mappatura Monica Galeotti
©relive - ©mappatura Monica Galeotti






©relive - ©mappatura Monica Galeotti
©relive - ©mappatura Monica Galeotti




Per questa salita non ci sono particolari difficoltà tecniche, ma è piuttosto lunga e con un discreto dislivello. 
Conviene essere allenati ad avere un equipaggiamento adeguato: pedule, acqua, snack, mantella pioggia, crema solare.


Inizio il percorso dal secondo parcheggio di Pian dei Casoni in Val Venegia.
 (per arrivare vedi pubblicazione Val Venegia).
Conviene arrivare presto la mattina nei periodi di alta stagione. 

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Mi incammino lungo la valle solcata dal torrente Travignolo, accompagnata dalla spettacolare cornice delle Pale: a sinistra la parete nord del Mulaz. 
Con la sua imponenza e la sua altezza, 2906 metri, il Monte Mulaz appare isolato, situato nella parte settentrionale delle Pale di San Martino. 

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Raggiungo la Malga Venegiota, inserita nello stesso panorama da cartolina.

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Oltrepasso la teleferica che rifornisce il rifugio Mulaz: arriverà a Passo Mulaz dove un’altra cabina porterà verso il basso i rifornimenti. 

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50 metri dopo inizia il Sentiero 710 Quinto Scalet. 
Dal parcheggio fino a qui circa 30 minuti di camminata turistica.
Proseguendo si arriva alla Baita Segantini, ma oggi si svolta a sinistra per il Mulaz.

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L’inizio del sentiero 710 riporta 2 ore per arrivare al rifugio, io ho impiegato 30 minuti in più, me la sono presa comoda. 
La tempistica è puramente indicativa, si può impiegare molto meno se si è allenati, come si può impiegare più tempo se si è meno allenati o se si vuole andare con tranquillità godendosi il panorama, i fiori, l’atmosfera.

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Devo raggiungere Passo Mulaz e poi scendere verso il rifugio. 
La salita inizia quasi subito, rimane all’interno del bosco e dopo 15 minuti ne sono fuori.
Appare il primo grande paretone roccioso.

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Il paretone è sempre lì, e si continua a salire.

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Dopo un’ora di salita il panorama è mozzafiato, visibile in lontananza la serpentina che porta alla Baita Segantini. 
Mi entusiasma distinguere chiaramente anche il Monte Costazza e il Monte Castellaz, che ho percorso un anno fa. Vedi ↝ Monte Castellaz. 
Sullo sfondo la Catena di Lagorai.

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La salita lungo il sentiero 710 è lunga, 
prendo quota salendo con tratti a zig-zag fra ghiaie piuttosto stabili, in un terreno aperto lungo un vallone.

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Poi a ridosso di una parete a strapiombo la salita diventa più marcata fino a Passo Mulaz. 

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Salgo attraverso un paesaggio dolomitico unico e raggiungo l'intaglio di Passo Mulaz. 

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PASSO MULAZ 2619 m 

Il più è fatto, nel senso che la salita è terminata, da qui si scende al rifugio in 10 minuti: si trova più in basso, a 2571 m.

Qui sul passo è d’obbligo concedersi cinque minuti per ammirare il meraviglioso panorama sulle Pale. 
L’ambiente è severo, dominano roccia e detriti.

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Proseguo e mi dirigo verso il basso.

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 Sulla sinistra si stacca il sentiero per la cima del monte Mulaz (circa un’ora, difficoltà EE), dove si trova una campana.

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Io continuo nella mia discesa, il sentiero scende verso la conca dove il rifugio Mulaz è quasi mimetizzato. 

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IL RIFUGIO

Eccolo ai piedi della cima il Rifugio Giuseppe Volpi di Misurata al Mulaz, dedicato al politico veneziano e industriale, fondatore della SADE, Società Adriatica Di Elettricità, personaggio già incontrato nell'interessante storia del Mulino Stucky di Venezia.

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Si trova nel Comune di Falcade ed è di proprietà del CAI di Venezia; possiede 39 posti letto + 13 d'emergenza.

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La sosta al rifugio prevede per me un confortante minestrone di verdura.

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Prima di intraprendere la via del ritorno mi allungo al Sasso degli Arduini, un rilievo panoramico con cippo commemorativo che raggiungo in 10-15 minuti.

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Mi allontano quindi dal rifugio fino ad osservarlo da un'altra angolazione.

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Il cippo ricorda il centenario del Rifugio Mulaz 1907 - 2007, "Esemplare ed ospitale base per l'ascesa silente dei monti ricordando leggendarie vicende alpinistiche e quanti per amore delle altezze quassù sono caduti".

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Inoltre i pionieri Giuseppe d'Anna e Giorgio Bernard che per primi salirono sulla cima del Focobon nel 1887.

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Il panorama dal sasso mi permette di osservare Falcade e la Valle del Biois.

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 Da una parte tutto il Gruppo del Focobon.
La Cima del Focobon è la più alta del gruppo.

Le Pale di San Martino sono, fra i gruppi dolomitici, le più vicine alla pianura e al mare, spesso le nubi avvolgono le vette soprattutto nella stagione estiva, per il calore proveniente dalla Val Padana. 

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Dall'altra parte il Mulaz imponente, grosso, in contrasto con le vette aguzze e verticali del Focobon. 

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Ritorno lungo lo stesso sentiero effettuato in salita, mi godo in maniera più rilassata il magnifico panorama e mi soffermo su alcuni splendidi fiori gialli che ricoprono i pendii. 

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È il Doronico dei macereti, tipico dei pendii detritici e dei ghiaioni, presente fra i 1700 e i 2900 metri.
Si potrebbe confondere con l'Arnica montana: quest'ultima ha le foglie opposte, mentre nel Doronico sono alterne.

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Sono di nuovo sul fondovalle a riprendere la strada forestale che mi riporta al parcheggio. 

Il trekking è stato lungo e impegnativo ma assolutamente appagante, un percorso che può essere effettuato dall’escursionista di media esperienza che non possiede capacità alpinistiche.






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Note:

-l'itinerario qui descritto è stato percorso personalmente il 9 agosto 2021 consultando preventivamente le previsioni meteo, prestando attenzione all'evoluzione del tempo nella stessa giornata.


-carta topografica Tabacco - Pale di San Martino 022 - 1:25.000


-per i livelli di classificazione delle difficoltà nell'escursionismo vedi  Dolomiti presentazione



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Sitografia:





giovedì 23 settembre 2021

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE STAVA 1985

 piazza Sgorigrad, 2
 STAVA - frazione di TESERO (TN)


Stava è una frazione di Tesero, dal quale dista circa 3 km a nord.


Prende il nome dal rio Stava che la attraversa interamente; è una piccola località turistica segnata profondamente da una tragedia immane:
il Disastro della Val di Stava. 


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Un enorme colata di fango e detriti precipitò dal bacino di decantazione della miniera di Prestavel il 19 luglio 1985, distruggendo Stava quasi interamente. 

Sono rimasti intatti solo gli edifici che si trovavano più in alto e lateralmente dal fondovalle. 

Si è salvata la Chiesetta della Palanca. 


DISASTRO DELLA VAL DI STAVA E CENTRO DI DOCUMENTAZIONE STAVA 1985

Dal 1985 è presente il Centro di Documentazione Stava, creato dalla Fondazione Stava 1985, la quale è composta dai familiari delle vittime. 

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Il luogo in cui si trova è Piazza Sgorigrad, così intitolata per sottolineare la fratellanza fra la comunità di Tesero/Stava e la comunità di Vratza/Sgorigrad colpite da analoghe sciagure.
A Sgorigrad, in Bulgaria, crollò nel 1966 un bacino di decantazione a servizio di miniera.
La piazza di Sgorigrad è intitolata a "piazza Tesero".



Il centro di documentazione si propone di mantenere viva la memoria, ma non fine a se stessa, quella memoria che può servire affinché non si ripetano avvenimenti simili, prevedibili ed evitabili, cosicché non siano morti invano 268 uomini, donne e bambini. 

La visita inizia con la proiezione della docu-fiction "Stava 19 luglio" per la regia di Gabriele Cippollitti. 
Attraverso la gita di un gruppo di ragazzi ai Monti Cornacci, che sovrastano Stava e Tesero, vengono ricostruiti gli avvenimenti: la crescita della discarica, il crollo e la colata di fango. 



Nelle bacheche del centro di documentazione sono esposti gli attrezzi di lavoro della miniera e la fluorite, il minerale estratto dalla miniera del Monte Prestavel. 

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Come molti minerali la fluorite non viene estratta allo stato puro.

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In alto a sinistra la fluorite;
a destra sezione lucidata di filone fluorite con galena;
in basso fluorite massiva con galena.
Miniera di Prestavel, Collezione MUSE (Trento).




La fluorite è utilizzata in vari modi: per la produzione dell’alluminio, nell’industria della ceramica e del vetro, nella preparazione dell’acido fluoridrico da cui si estrae il fluoro per i dentifrici, in ottica per alcune lenti di qualità.

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La separazione dalle rocce inutilizzabili avviene mediante due sistemi:
1-il metodo gravimetrico, con scarti che possono essere smaltiti senza problemi sottoforma di ghiaietto, non richiede l’uso di acqua e si ottiene fluorite pura al 75-85%, utile per l’industria siderurgica.

2-il sistema della flottazione, che permette una maggiore concentrazione e fornisce fluorite pura al 97-98%, adatto agli impieghi dell’industria chimica.
Per questo sistema viene utilizzata una grande quantità di acqua con l’aggiunta di schiumogeni; gli scarti, sotto forma di fango molto liquido e inquinante, sono depositati in una discarica per decantare, il cosiddetto bacino di decantazione.


LE DISCARICHE: I bacini di decantazione di residui minerari.

È il sistema della flottazione quello di cui si serviva la miniera di Prestavel, nella località Pozzole, situata nella parte alta della valle al di sopra dell’abitato di Stava. 
Questi fanghi, consolidati dopo la decantazione, rimanevano immagazzinati in vasche. 
Per contenerli venne costruito un argine in sabbia, con una funzione di contenimento molto modesta in relazione ai fanghi consolidati. 

I bacini di decantazione della miniera di Prestavel nel 1980 - ©Fondazione Stava



Nei bacini di decantazione della miniera di Prestavel fu adottato, per l’accrescimento degli argini di fango, il metodo a monte, il meno idoneo per la stabilità, che peggiora via via che aumenta la sua altezza, perché l’argine viene ad appoggiare su fanghi all’interno del bacino in gran parte non ancora consolidati.

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I bacini di decantazione nel luglio 1983.





LE CAUSE DEL CROLLO 

1-I fanghi depositati non erano consolidati :
per via della natura acquitrinosa del terreno che non consentiva la decantazione dei fanghi; per l’errata costruzione dell’argine del bacino superiore che non consentiva un adeguato drenaggio al piede; per la costruzione del bacino superiore a ridosso del bacino inferiore. 

2-L’altezza e la pendenza eccessive. 

3-La decisione di accrescere l’argine con il sistema a monte, il più rapido è il più economico ma anche il più insicuro.

4-L’errata collocazione delle tubazioni di sfioro delle acque di decantazione sul fondo dei bacini e attraverso gli argini.

I responsabili avrebbero potuto prevedere il crollo con l’uso dell’ordinaria perizia.
In oltre vent’anni le discariche non furono mai sottoposte a serie verifiche di stabilità da parte delle società concessionarie o a controlli da parte degli uffici pubblici competenti.




IL DISASTRO 

Alle ore 12. 22’ 55” del 19 luglio 1985 cede l’arginatura del bacino superiore che crolla sul bacino inferiore che a sua volta crolla.

180 mila m³ di acqua e fango fuoriescono dalle discariche.


La frana viaggia attorno ai 90 km/h, distrugge alberghi, case, capannoni, ponti, e centinaia di alberi sradicati su un’area complessiva enorme.

Alla massa fangosa di 180 mila m³, composta da sabbia, lime e acqua, che ha ricoperto un’area di 435.000 m² e una lunghezza di 4,2 km, si è aggiunta la massa di 40-50.000 m³ dei processi erosivi, composta dalla distruzione degli edifici e dallo sradicamento di centinaia di alberi.


La frana si ferma alla confluenza fra il rio Stava e il torrente Avisio, in coincidenza con i due ponti di Tesero, danneggiando quello più antico. 


Via Mulini, a Tesero, che fiancheggiava il torrente Stava, venne letteralmente rasa al suolo.

Le case, le segherie e i mulini sono stati ricostruiti altrove mentre l’albergo Dolomiti non è stato ricostruito.

Oggi via Mulini è la strada di circonvallazione di Tesero, mentre dell’antica via rimane solo il breve tratto adiacente ai ponti.


I soccorsi furono immediati, parteciparono oltre 18.000 uomini di cui oltre 8.000 vigili del fuoco volontari del Trentino e 4.000 militari del corpo degli alpini.


268 morti, dei quali 71 di morte presunta in quanto le salme non poterono essere riconosciute. 
Le salme non riconosciute riposano nel Cimitero delle Vittime della Val di Stava, adiacente alla Chiesa di San Leonardo a Tesero. 
Nel cimitero si trova anche il "Monumento alle Vittime", 
riproposto al Centro di Documentazione come modello, opera dell’artista locale Felix Deflorian. 

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L’INCHIESTA E LE CONDANNE 

La commissione d’inchiesta del tribunale di Trento ha accertato che "l’impianto è crollato essenzialmente perché è progettato, costruito, e gestito in modo da non offrire poi margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane.
L’argine superiore era statisticamente al limite.
Non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio". 

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Il processo si concluse l’8 luglio 1988 con la condanna di 10 imputati giudicati colpevoli di disastro colposo e omicidio colposo plurimo.

Il procedimento penale si è concluso dopo altri 4 gradi di giudizio con la seconda sentenza della Corte di Cassazione, il 22 giugno 1992, che ha confermato le condanne pronunciate in primo grado.

Il banco degli imputati - ©Fondazione Stava




Le pene di reclusione sono state ridotte e condonate nel corso dei vari gradi di giudizio e nessuno dei condannati a scontato la pena detentiva.

Le società che avevano a quel tempo in concessione la miniera di Prestavel o intervennero nelle scelte della discarica furono: Montedison, Imeg, Snam, Prealpi mineraria, la provincia autonoma di Trento.

Le stesse, in percentuali diverse, risarcirono del danno di 739 danneggiati per complessivi oltre 132 milioni di euro. 
La Prealpi Mineraria, nel frattempo fallita, non ha versato alcuna somma ai danneggiati.

Al di là delle azioni e omissioni penali, i comportamenti dei responsabili, che hanno anteposto alla sicurezza dei terzi la redditività economica degli impianti, sono stati ignobili, spregevoli e vili.

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ESCURSIONE SUL MONTE PRESTAVEL 

Il "Percorso della Memoria", sul Sentiero Stava 1985, attraversa i boschi della Val di Stava e del Monte Prestavel, sui luoghi dell’ex miniera e delle discariche crollate il 19 luglio. 

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Può essere percorso in autonomia o con la guida in diverse lingue, disponibile presso il Centro Stava 1985.

Con partenza dal Centro, 1,5 km fino alla località Pozzole e l’area dei bacini di decantazione.

Ulteriori 2,5 km portano all’imbocco di una delle gallerie della miniera e poi al punto panoramico dal quale si rientra a Stava. 

In totale 3-4 ore di facile camminata.

Attualmente vi sono lavori boschivi in corso per ripristinare l’area dopo la tempesta Vaia del 2018, meglio consultare la pagina delle mappe della Fondazione Stava, continuamente aggiornata.




Per analogia nel Centro vengono descritti in sintesi la catastrofe del Vajont 1963 e i disastri del Cermis 1976 e 1998. 

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Quello del 19 luglio 1985 in Val di Stava è uno dei più gravi disastri al mondo dovuti al crollo di discariche a servizio di miniere.

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Ho il vago ricordo dei miei vent’anni, quando ascoltavo dal telegiornale la notizia del disastro, mio padre e mia madre commentavano; negli anni '70 avevamo fatto per anni le vacanze in Val di Fassa e da Tesero ci si passava per forza, non esisteva la strada di fondovalle.

Quel vago ricordo è diventato di "oggi", perché la visita al Centro di Documentazione ha fatto sì che non andasse a morire quel ricordo. 

Ho approfondito, ho cercato, ho capito:
la costruzione, le cause del crollo, il disastro, l’inchiesta, quel rinforzo mancato, quella stabilità impossibile dei bacini di decantazione, dovuto agli sbagli e ai crimini dei responsabili del disastro di Stava.

A 36 anni di distanza comprendo meglio, consolido il ricordo e provo a comunicarlo.

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Il Centro di Documentazione Stava 1985 è aperto:
.tutto l'anno il giovedì e la domenica 
ore 15-18
.dal 15 giugno al 15 settembre tutti i giorni
ore 15-18
.in luglio e agosto anche al mattino 
ore 10-12

L'entrata è libera ma è gradita un'offerta per l'impegno dei volontari.


TESERO

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Bibliografia:
-brochure "Stava 1985, la Fondazione".


Sitografia: