giovedì 29 marzo 2018

SEDE STORICA DELLA SCUOLA DI INGEGNERIA E ARCHITETTURA

viale Risorgimento, 2 - BOLOGNA


L'edificio di ingegneria sorge nei pressi di Porta Saragozza e, nonostante si trovi in zona sopraelevata vicino ai viali trafficati, non lo si nota, tanto che molti bolognesi ne ignorano la rilevanza storica e architettonica.


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L'edificio, sull'area dell' ex villa Cassarini (che fu considerata non di pregio e abbattuta), probabile sede dell'acropoli della città etrusca Felsina, nacque in epoca fascista con l'approvazione del Duce stesso: inaugurato il 28 ottobre 1935, giorno dell'anniversario della marcia su Roma.

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©archiviostorico.unibo.it


L'incarico per la costruzione dell'edificio fu affidato a Giuseppe Vaccaro, insieme alle direttive sullo schema planimetrico dell'ingegner Umberto Puppini, direttore della scuola stessa.
Vaccaro (1896-1979), laureato in ingegneria civile a Bologna nel 1920, era stato allievo e assistente di Attilio Muggia, noto a Bologna per la Scalea della Montagnola.
Muggia fu direttore della Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri situata, agli inizi del '900, nel convento dei Celestini. Per l'insufficienza della sede, nel 1926 propose un → progetto di ampliamento nel Complesso di Santa Maria dell'Annunziata, mai realizzato. 

Vaccaro dal 1922 aveva trascorso un periodo presso lo studio romano di Marcello Piacentini, massimo esponente dell'architettura di regime.


Progetto di Giuseppe Vaccaro per la sede della Facoltà di Ingegneria, 1933.
©comune.bologna.it/archivio-storico

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Il fabbricato è un esempio dello stile littorio o architettura fascista (da "fascio littorio" che era il simbolo fascista), una sorta di fusione fra architettura razionalista e classicismo monumentale, espressione degli intenti di grandezza del regime: questo stile si diffuse enormemente in Italia negli anni '30, specie nei numerosi progetti di edilizia pubblica legata al regime (→ vedi Liceo Augusto Righi).
L'edificio presentava, come elementi decorativi, fasci littori nella torre, successivamente rimossi.

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 L'inaugurazione della facoltà di ingegneria nel 1935.
©Archivio Storico Luce








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All'esterno emerge la torre in mattoni alta 45 metri, elemento architettonico che richiama le storiche torri di Bologna, sia nella forma sia nel materiale.
La torre custodisce il patrimonio librario della facoltà, disposto in scaffalature su 12 livelli,

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e funge anche da osservatorio.

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All'esterno un'ampia Meridiana.

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Nell'atrio domina una grande lapide che riporta con caratteri bronzei il discorso di Diaz sulla vittoria del 4 novembre 1918.

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Sempre nell'atrio, in vari punti, targhe di insegnanti della scuola che hanno ricevuto meriti.

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Nel primo cortile un'altra lapide ricorda i nomi degli studenti di ingegneria caduti durante la Prima Guerra Mondiale.

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Ai piani superiori le aule sono dotate di ampie vetrate continue, con infissi metallici che, all'epoca della costruzione, erano di nuova concezione.

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L'aula con i banchi originali sopraelevati.

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L'Aula Magna.


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La biblioteca.


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Non ci si può esimere dal ricordare che purtroppo questo edificio è stato testimone di una delle pagine più tristi della storia della città, ed anche una delle meno note.
Ho trovato una descrizione accurata e tragica nel libro di Serena Bersani "Forse non tutti sanno che a Bologna..."
Il libro racconta che dopo l'8 settembre 1943 la facoltà divenne una camera di tortura del Governo della Repubblica di Salò e del comando tedesco a Bologna, che ne aveva requisito e occupato le aule.
Si torturarono partigiani ma anche qualche disgraziato raccolto dalla strada perchè non indossava la camicia nera o aveva fatto gesti di disprezzo.
Si torturarono donne, che oltre agli insulti e alle percosse subirono violenze sessuali.
Una volta torturati e interrogati molti prigionieri finirono nelle carceri di San Giovanni in Monte e poi fucilati o deportati. 

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Per quegli orrori pagarono in pochi: le condanne a morte vennero convertite in ergastolo e poi in pene minori, infine spazzate via dall'amnistia del guardasigilli Togliatti.
Soltanto uno venne fucilato: il famigerato capitano Renato Tartarotti che si rese responsabile di torture, pestaggi, estorsioni, violenze efferate e condanne a morte. Tra queste ultime c'era anche quella di Irma Bandiera.
Il processo del 3 luglio 1945 si svolse a porte chiuse per evitare disordini, ma concedendo alla popolazione di seguire il dibattimento dai microfoni di Radio Bologna e diffuso anche con altoparlanti in alcune piazze cittadine.
Tartarotti fu giustiziato al poligono di tiro di via Agucchi il 2 ottobre 1945.
Renato Sasdelli, professore nella stessa facoltà, nel suo libro "Ingegneria in guerra", attraverso studi e testimonianze scrive che furono almeno 70 le vittime delle torture, ma in realtà furono molte di più.
A far scivolare tutto nell'oblio è stato l'imbarazzo del mondo universitario e la reticenza dei protagonisti a raccontare, non diversa da quella dei reduci dei campi di prigionia.

Settant'anni dopo dalla Liberazione è stata posta a Ingegneria una lapide commemorativa sui fatti avvenuti nell'edificio.

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©magazine unibo.it



Danneggiata durante la guerra, la scuola viene restaurata e riaperta come facoltà nel 1947.

L'edificio, destinato in origine a 300 studenti, è stato ampliato negli anni '70 e accoglie oggi circa 2200 persone al giorno.
All'epoca della costruzione la struttura costituiva l'eccellenza, oggi si nota un certo invecchiamento e una necessità di manutenzione.

Dal 1995 è sottoposto al vincolo della Soprintendenza.



                                        → CERCA BOLOGNA




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Elenco delle fonti consultate/utilizzate per la ricerca.

Bibliografia:
-Serena Bersani, Forse non tutti sanno che a Bologna..., Newton Compton Editori
-foglio informativo del FAI
-"Giuseppe Vaccaro a Bologna", do⎽co,mo⎽mo giornale n. 18, anno 2005

-resoconto visita guidata giornate FAI di primavera 2018


Sitografia:



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