MOSTRA
1 marzo - 2 novembre 2022
Sottopasso di Piazza Re Enzo - BOLOGNA
La mostra Folgorazioni Figurative è uno dei tanti omaggi che la città di Bologna, nel centenario della nascita, dedica a Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi intellettuali del Novecento.
In questa mostra ogni film di Pasolini viene rivisto dal punto di vista della sua "folgorazione" rispetto alla storia dell’arte, che risale agli anni della sua formazione.
Prende avvio dalla figura di Roberto Longhi, suo docente di Storia dell’Arte, che influenza la sua formazione estetica, stimolandolo intellettualmente con il corso di laurea "Fatti di Masolino e di Masaccio".
Nel suo famoso saggio Longhi mette a confronto i due artisti che avevano affrescato, a cominciare dal 1424, la Cappella Brancacci nella chiesa fiorentina di Santa Maria del Carmine.
Le loro visioni della realtà erano estremamente diverse e Longhi predilige esplicitamente Masaccio, il quale riproduce le storie di Cristo e degli apostoli in una dimensione di quotidianità: "Qui non c’è una bella favola e vana, ma la vita comune d’ogni giorno, poveri riflessi umani ignari di accumularsi attorno a quelle grandi azioni di forza apostolica".
Il professore aveva creato, nell’auletta universitaria, un’atmosfera magica di isola felice dove gli studenti vedevano scorrere le immagini proiettate sullo schermo e commentate con attenzione in tutti loro particolari.
L’aula dell’Università di Bologna nella quale il professor Roberto Longhi teneva le sue lezioni di Storia dell’Arte, via Zamboni 33, anni 1940.
CHI ERA ROBERTO LONGHI (1890-1970)
Roberto Longhi è stato il più grande storico dell’arte italiana del Novecento.
Si forma a Torino e si laurea con una tesi su Caravaggio, che resterà uno degli autori da lui più studiati.
Insegna a Roma e pubblica la sua prima importante monografia, dedicata a Piero della Francesca.
Come critico pubblica la "Breve ma veridica storia dell’arte italiana".
Nel 1934 Longhi vince la cattedra universitaria di Storia Medievale e Moderna a Bologna e pronuncia alla Biblioteca dell’Archiginnasio il famoso discorso "Momenti della pittura bolognese", dove viene ribadita una concezione dell’arte alternativa a quella fiorentina.
Condivide la sua passione per Piero della Francesca con Giorgio Morandi.
Nell'inverno del 1941 terrà il corso su Masolino e Masaccio frequentato da Pasolini.
Finirà la sua carriera nell’insegnamento a Firenze.
La sua critica si basa sull’idea che la storia dell’arte non si può ridurre a una cronologia ma ogni opera è il frutto di tradizioni precedenti e soprattutto apre la strada a visioni future.
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Alla morte di Roberto Longhi, Pasolini scrive un bellissimo ricordo del professore, attraverso il quale era nata la sua attenzione per il cinema, con immagini cariche di bellezza che esprimono il "sacro" della realtà:
"Il mio ricordo personale di quel corso è, in sintesi, il ricordo di una contrapposizione o netto confronto di 'forme'.
Sullo schermo venivano infatti proiettate delle diapositive. Il cinema agiva, sia pure in quanto mera proiezione di fotografie. E agiva nel senso che una 'inquadratura' rappresentante un campione del mondo masoliniano, in quella continuità che è appunto tipica del cinema, si 'opponeva' a una 'inquadratura' rappresentante a sua volta un campione del mondo masaccesco."
(Pier Paolo Pasolini, "Roberto Longhi, da Cimabue a Morandi", in "Descrizioni di descrizioni", a cura di Graziella Chiarcossi, Garzanti Editore, Milano, 1996).
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La prima ipotesi di tesi di laurea proposta da Pasolini a Roberto Longhi riguardava una delle 20 versioni della Gioconda Nuda o Monna Vanna, probabilmente risalente al XVI secolo, ispirata a un disegno della bottega di Leonardo da Vinci e in possesso del pittore e collezionista tedesco Paolo Weiss. Longhi rifiutò la proposta perché riteneva l’opera "una crosta raccapricciante".
Copia di "La Gioconda Nuda", anonimo, dal cartone di Leonardo da Vinci, XVI secolo, olio su tela, 70X50 - ©concessione di Fondazione Primoli, Roma. |
Roberto Longhi accettò la terza ipotesi di tesi, "Sull'odierna pittura italiana". Pasolini aveva già scritto brevi capitoli su Carlo Carrà, Filippo de Pisis e Giorgio Morandi ma perse il materiale della tesi durante le vicissitudini successive all’8 settembre 1943.
Pasolini infatti venne chiamato al fronte e catturato dai tedeschi. Riuscì a scappare ma durante la fuga perse la tesi già abbozzata.
In seguito dovette rinunciare a laurearsi con Longhi (cacciato dall'Università dal fascismo) e discusse una tesi su Giovanni Pascoli con il professor Calcaterra.
Riproduzione di "L'amante dell'ingegnere", Carlo Carrà, 1921 - ©Raffaello Bencini/Archivi Alinari, Firenze. |
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Secondo una testimonianza di Nico Naldini, un giorno a Bologna il fratello Guido sarebbe intervenuto contro alcuni ragazzi che avrebbero insultato Pier Paolo dopo averne intuito l’omosessualità.
Nacque un violento scontro fisico che condusse Guido in ospedale con una commozione cerebrale.
Pier Paolo, in segno di gratitudine e affetto, dedicò alcuni disegni al fratello mentre era degente.
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LA LUCE FRIULANA
Nel 1943 Pierpaolo si trasferisce con la famiglia in Friuli, a Casarsa, paese di origine della madre.
"Poesie a Casarsa" è un libretto scritto in dialetto friulano, stampato nel 1942 a Bologna in 300 copie, a spese della Libreria Antiquaria di Mario Landi.
In Friuli, a contatto con un ambiente artistico provinciale, vicino a quella lingua espressiva dialettale adottata nella sua prima raccolta, Pasolini cerca nella pittura qualcosa di simile al dialetto e trova una contaminazione, che resterà costante in tutta la sua carriera.
Nell’articolo "La luce e i pittori friulani", pubblicato sul "Messaggero Veneto" del 21 settembre 1947, Pasolini scrive: "La pittura è nel Friuli il genere artistico che dà i risultati più brillanti".
In questa frase ritroviamo le idee di Pasolini che anticipano il suo cinema futuro: "La luce è ancora attiva, dinamica: cadendo sull’oggetto da un dato sempre naturalistico (il sole) lo deforma arricchendolo o corrodendolo".
-"Autoritratto con fiore in bocca, di Pier Paolo Pasolini, 1947, olio su faesite, ©Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseus. -"Ritratto col fiore", Massimo Listri - ©Archivio Massimo Listri |
A ROMA COME CARAVAGGIO
Nel 1950 Pasolini è costretto a lasciare Casarsa, cacciato dalla scuola dove insegnava e dal PC dove militava, con il marchio, all’epoca infamante, dell’omosessualità.
Si trasferisce con la madre a Roma.
"Io vivevo come può vivere un condannato a morte, sempre con quel pensiero come una cosa addosso, disonore, disoccupazione, miseria."
Scopre il mondo delle borgate che circondano Roma capitale, un mondo ai margini anche della storia, un’umanità di esclusi, di ragazzi di vita e di morte che saranno i protagonisti della sua poesia, della sua narrativa e infine del suo cinema.
Di Caravaggio parlerà evidenziando l’elemento funebre delle sue opere:
"Ciò che mi entusiasma è la terza invenzione del Caravaggio: cioè il diaframma luminoso che fa delle sue figure delle figure separate, artificiali, come riflesso in uno specchio cosmico.
Qui i tratti popolari e realistici dei volti si levigano in una caratteriologia mortuaria; e così la luce, pur restando così grondante dell’attimo del giorno in cui è colta, si fissa in una grandiosa macchina cristallizzata".
Possiamo trovare due analogie fra i due artisti: entrambi maledetti e ispirati dalla vitalità e dalla morale senza regole dell’universo popolare che pulsa ai margini della società borghese.
La seconda analogia è un rovesciamento, come ha rilevato Francesco Galluzzi: "Mentre il Caravaggio raffigurava i santi come popolani, Pasolini ambiva raffigurare i popolani come santi".
"Narciso", Caravaggio, oggi attribuito a Spadarino, 1569, olio su tela (riproduzione) - ©concessione Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma. |
IL CINEMA
L'esposizione della mostra (vita e opere cinematografiche) è in ordine cronologico, quindi il suo lavoro parte con il film d'esordio.
ACCATTONE, 1961.
-Franco Citti in "Accattone", 1961, fotogramma - ©Compass film -"Ritratto di un giovane uomo", Bronzino, 1530 ca, olio su legno (riproduzione) - ©Metropolitan Museum of Art, NY. |
-Ragazzi con ceste di frutta, "Accattone", 1961, fotogrammi - ©Compass film. -"Fanciullo con canestro di frutta", Caravaggio, 1593-94, olio su tela (riproduzione) - ©Galleria Borghese, Roma |
Franco Citti e Pier Paolo Pasolini sul set, "Accattone", 1961 - ©Centro Studi - Archivio Pier Paolo Pasolini, Cineteca di Bologna. |
Pasolini dietro la macchina da presa, con l'operatore Carlo di Palma, gira una carrellata del provino con Franca Pasut e Franco Citti (di spalle), "Accattone", 1961 - ©Archivio Cinemazero Images |
I MANIERISTI E LA SCOPERTA DEL COLORE
All’inizio degli anni '60 Pasolini si appropria della nozione di "manierismo" elaborata dagli storici dell’arte.
Longhi ne aveva parlato nel 1953 come di "umori balzani, lunatici, spesso introversi", a cui si accompagnano tecnica raffinata, astrattezza, intellettualismo.
Pasolini individua alcuni scrittori riconducibili al manierismo, in particolare Anna Banti (la moglie di Longhi) e Giorgio Bassani.
Lui stesso si definisce manierista soprattutto nelle composizioni poetiche della raccolta "Poesia in forma di rosa", 1964.
Nel suo cinema queste tracce sono molto esplicite e si ritrovano nel passaggio fra "Mamma Roma", "La ricotta" e "La rabbia".
MAMMA ROMA, 1962.
Mentre sta girando "Mamma Roma", Pasolini scrive alcune poesie (manieriste) che compariranno nel volume con la sceneggiatura del film.
LA RICOTTA (Episodio di Ro.Go.Pa.G.), 1963.
Ne "La Ricotta", un regista, impersonato da Orson Welles e doppiato da Giorgio Bassani, sta girando la morte di Cristo e mette in scena due sequenze ispirate a due grandi manieristi fiorentini:
- "La Deposizione dalla croce" di Rosso Fiorentino
- "Il Trasporto di Cristo", di Jacopo da Pontormo.
I due dipinti sono messi in particolare risalto, inseriti a colori, mentre il resto della pellicola è in bianco e nero.
-"La Ricotta", Pier Paolo Pasolini, 1963, fotogramma - ©Compass film -"Il trasporto di Cristo", Pontormo, 1526.28, tempera ad uovo su tavola - ©per gentile concessione Diocesi di Firenze. |
Grazie alle fotografie di Angelo Novi sappiamo che Pasolini consultava il volume di Briganti e le pagine erano appese sul set con delle mollette.
In questa foto Pasolini accanto alla moviola utilizzata dal sostituto procuratore Giuseppe di Gennaro durante il processo al film "La ricotta" nel marzo 1963, che venne sequestrato per vilipendio della religione cattolica.
Pasolini venne condannato, poi nel maggio 1964 fu assolto, quindi nel '67 la sentenza annullata e il reato giudicato "estinto per amnistia".
Fin dal 1949 Pasolini è stato al centro di più di 30 processi, addirittura oltre la morte.
Nel 1973 scriveva: "Potrei scrivere un 'libro bianco' sui miei rapporti con la giustizia italiana, accuse, sentenze, arringhe, richieste del pubblico ministero. Sono stato processato per avere rapinato 2000 lire, nascondendomi sotto un cappello nero, le mani infilate in guanti naturalmente neri, con la pistola caricata con pallottole d’oro".
(si riferiva ad un processo subito per rapina a mano armata al Circeo il 3 luglio 1962 che gli costò 15 giorni di reclusione più cinque per porto abusivo di armi da fuoco e 10.000 lire per mancata denuncia della pistola (mai posseduta), con la condizionale.
Il 13 luglio la corte d’appello estinse il procedimento per amnistia, mentre la difesa ottenne soltanto una assoluzione per mancanza di prove).
Un clima persecutorio assediava Pasolini.
Clamorosi furono i "Fatti di Anzio" quando l’11 luglio 1960 venne denunciato dai genitori di due ragazzi per corruzione di minorenni ma, interrogati, i minorenni dichiararono di avere ricevuto 100 lire da due giornalisti. La denuncia fu archiviata.
Numerosi suoi film subirono traversie giudiziarie: Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Teorema, Porcile, Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte e soprattutto Salò.
Il Decameron nel 1971 verrà investito da 80 denunce e a Salò, una settimana dopo l’assassinio di Pasolini, il 9 novembre 1975, venne negato il nullaosta; nel dicembre venne concesso, il film uscì per tre giorni nel gennaio 1976 ma venne sequestrato e il produttore Alberto Grimaldi processato.
Il film dissequestrato il 17 febbraio 1977 soltanto dopo avere subito i tagli di sei sequenze ma venne nuovamente sequestrato e dissequestrato nel giugno successivo.
LA RABBIA, 1963.
"La rabbia" è un film anomalo, non è narrativo ma di montaggio, basato su materiali di repertorio con commento in prosa e in versi che si alternano nelle letture di Renato Guttuso e Giorgio Bassani.
Pasolini aveva scritto: "Ci sono stati degli avvenimenti che hanno segnato la fine del dopoguerra: mettiamo, per l’Italia, la morte di De Gasperi. "La rabbia" comincia lì, con quei grossi, grigi funerali. Lo statista antifascista e ricostruttore è scomparso: l’Italia si adegua nel lutto della scomparsa, e si prepara, appunto, a ritrovare la normalità dei tempi di pace, di vera, immemore pace. Qualcuno, il poeta, invece, si rifiuta a questo adattamento".
("L'aria del tempo - Gli arrabbiati", dal film "La Rabbia",
regia di Pier Paolo Pasolini, 1963)
Pasolini riprende una serie di cinegiornali degli anni '50, con audiovisivi con cui vengono divulgate informazioni "addomesticate", e li manipola, modificandoli nel montaggio e imprimendovi polemicamente una diversa connotazione di senso.
Questo avviene anche per la riproduzione di fotografie, disegni e dipinti, sequenze di altri film.
Le opere di Guttuso sono esaltate come esempi di un’arte "dove non c’è certezza e il segno è disperato, il colore stridente", in contrapposizione alla banale retorica del realismo socialista.
Commovente e intensa la sezione dedicata alla vita di Marylin Monroe, chiamata 'sorellina' e considerata vittima dello star system che ha preso possesso della sua bellezza e l’ha adulterata.
FAVOLE E PARABOLE
IL VANGELO SECONDO MATTEO
Nel 1964 Pasolini realizza un film dal Vangelo di Matteo.
Cosciente di non possedere una fede religiosa, è accompagnato fin dalla giovinezza da una passione per la figura di Cristo, una ambiguità irrazionale.
Pasolini si colloca dal punto di vista del popolo, immaginandosi come un artista che narra la vita e la passione del figlio di Dio come se fosse un’opera d’immaginazione, i cui testi "sono i più sublimi che siano mai stati scritti".
Questo suo Cristo è venuto "per portare non la pace ma la spada", e si contrappone all’ipocrisia dei farisei con la forza rivoluzionaria di una predicazione che privilegia gli umili e gli ultimi, in un dialogo ideale fra cristianesimo e marxismo.
Sul set di "Il vangelo secondo Matteo", Pier Paolo Pasolini, 1964 - ©foto Angelo Novi, da Fondo Angelo Novi, Cineteca di Bologna. |
Oswald Stack in "Pasolini su Pasolini", Londra 1969, scrive:
"In Accattone lo stile è lineare, semplice come in Masaccio o nella scultura romanica. Al contrario, lo stile del Vangelo è molto vario e si incontrano fonti varie e diverse, come Piero della Francesca negli abiti dei farisei o la pittura bizantina nel viso di Cristo simile a quello di Rouault.
-Pasolini ed Enrique Irazoqui sul set di "Il vangelo secondo Matteo", Pier Paolo Pasolini, 1964 - ©foto Angelo Novi, Cineteca di Bologna. |
I VOLTI DELLA BORGHESIA
"Bisogna dire più alto che mai il disprezzo, verso la borghesia, urlare contro la sua volgarità, sputare contro la sua irrealtà che essa ha eletto a realtà".
Pasolini esprime spesso disprezzo per la borghesia, pur appartenendovi.
Lui stesso appare fin dall’inizio della sua opera di narrativa come protagonista; è un borghese eretico, un borghese che si è autoesiliato dalla propria classe di appartenenza ma che non può dimenticare le proprie origini.
Dopo il 1966 gli odiati borghesi diventano protagonisti delle sue opere: Teorema, Affabulazione, Porcile, Petrolio, Salò.
La borghesia è comunque la classe vincente e Pasolini si misura con essa.
"Non si tratta di odio, si tratta di qualcosa di più e di meno. Ad ogni modo, purtroppo a questo punto bisogna rinunciare a questa specie di odio perché in Italia tutti sono divenuti borghesi".
(da un’intervista rilasciata alla televisione francese il 31 ottobre 1975).
IL SOGNO DEL PASSATO
Fra il 1967 e il 1970 Pasolini, per quanto riguarda le scelte visive, abbandona qualsiasi riferimento all’arte occidentale e sposta tutto in luoghi esotici: Marocco, Uganda, Tanzania, Turchia.
Realizza tre film mitologici: Edipo Re, Appunti per un’Orestiade Africana e Medea.
Un modo nuovo di concepire il film in costume, inventando il mito a partire da una realtà straniata, non convenzionale.
Rifiuta quindi la Grecia classica, così come per il Vangelo aveva rifiutato i territori israeliani, ignorando qualsiasi riferimento banalmente realistico.
La stessa cosa avviene per i costumi, immagina copricapi bizzarri, vagamente ispirati all’arte africana per Edipo (in collaborazione con Danilo Donati), mentre per Medea viene creato (con Piero Tosi) un pesante abito di lana scura ispirato alle culture dei Balcani, con grosse collane che risuonano a ogni movimento.
Pasolini fa della Callas un’icona diversa rispetto a all’immagine teatrale che aveva avuto sino ad allora.
Lo fa anche utilizzando la pittura, realizzata con materie naturali, ritraendola di profilo con i tagli visivi che si trovano nel film, per sottolineare il mistero di un volto e di una donna-dea che metterà al centro di un meraviglioso canzoniere poetico, poi inserito nella raccolta "Trasumanar e organizzar".
"Ritratto di Maria Callas", Pier Paolo Pasolini, 1970, matita, pvc, spumante, sabbia - ©Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux. |
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Da un’intervista di Dacia Maraini a Pierpaolo Pasolini, "Ma la donna è una slot-machine", l’Espresso, 22 ottobre 1972:
"La TV: qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi di importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in un modo mostruoso cioè con femminilità.
Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come "valletta" (al 'maschio' Mike Bongiorno e affini).
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LE IMMAGINI DEL GENOCIDIO
"Salò o le 120 giornate di Sodoma", 1975, viene concepito da Pasolini secondo un progetto visivo molto elaborato.
Lui stesso sottolinea che si tratta di un film per il quale ha valutato con attenzione ogni minima scelta, compresi gli oggetti che compaiono anche per pochissimi secondi.
Vi sono riferimenti all’arte di provenienza diversa.
I primi minuti del film sono girati sul Lago di Garda e hanno colori molto caldi, da pittura veneziana.
Poi luoghi diversi per la resa della villa dove si svolge l’azione:
-Villa Aldini a Bologna per la facciata neoclassica da cui si affacciano i signori e iniziano a dare ordini alle vittime.
Villa Aldini, Bologna - ©foto Deborah Imogen Beer Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini-Cineteca di Bologna. |
Villa Aldini e Marzabotto, Bologna - ©foto Deborah Imogen Beer Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini-Cineteca di Bologna. |
-Villa Zani di Villimpenta, in provincia di Mantova, progettata da Giulio Romano, per la stanza interna delle orge.
-Villa Riesenfeldt, settecentesca, di Pontemerlano, per il salone da pranzo con gli specchi dèco.
Sul set di "Salò" - ©foto Deborah Imogen Beer Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini-Cineteca di Bologna. |
-Villa Sora di Castelfranco Emilia, di cui viene inquadrata la facciata e l’aranciera per le vittime maschili.
Alcuni oggetti sono esplicite citazioni, in un’atmosfera fra Avanguardia e Art Déco.
La sedia del designer scozzese Charles Rennie Mackintosh su cui alla fine i signori siedono per osservare le torture che avvengono nel cortile usando un binocolo rovesciato.
Il binocolo, appoggiato sul davanzale di una finestra aperta sul vuoto, potrebbe derivare da un quadro di Giacomo Balla, "Finestra su Dusseldorf", 1912.
La sedia Mackintosh e il binocolo - ©foto Deborah Imogen Beer Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini-Cineteca di Bologna. |
Paolo Bonacelli sulla sedia Mackintosh - ©foto Deborah Imogen Beer Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini-Cineteca di Bologna. |
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NON ESISTE LA FINE
Riprendendo il filone favolistico degli anni '60, dopo Salò Pasolini aveva in mente un film dove il personaggio Epifanio e il suo servo Nunzio si mettono in cammino per trovare la grotta di Cristo e omaggiarlo come fecero i Re Magi.
A causa di una serie di vicissitudini i due personaggi muoiono e dal cielo osservano la terra come fossero astronauti e aspettano. Cosa? Non si sa.
Nunzio commenta: "Nun esiste la fine. Aspettamo . Qualche cosa succederà".
Questa frase, di un film mai realizzato, probabilmente anticipa una nuova visione di Pasolini, la fine di una fase di sperimentazione e l’inizio di una nuova ricerca.
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Il 31 maggio 1975, in occasione dell’inaugurazione della Galleria d’Arte Moderna di Bologna in Piazza Costituzione, viene chiamato dall’amico fraterno Fabio Mauri, conosciuto ai tempi dell’Università e diventato un apprezzato artista, per dare vita ad una performance intellettuale.
Pasolini viene sistemato in esterno davanti al portone su un alto sedile e sulla sua camicia bianca viene proiettato "Il Vangelo secondo Matteo", suo film del 1964, Leone d’argento alla 25ª mostra del Cinema di Venezia.
Il film aveva scatenato un aspro dibattito con accuse di vilipendio alla religione.
Il sonoro altissimo e sproporzionato rispetto alle dimensioni ridotte dello schermo umano Pasolini, accresce il voluto straniamento, del pubblico e dello stesso Pasolini, il quale è costretto a restare immobile per oltre due ore del film e a subire sul suo corpo gli effetti della sua opera.
Il fotografo Antonio Masotti immortala la performance in 15 fotografie che diventano iconiche.
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A metà ottobre 1975 il fotografo Dino Pedriali realizza un servizio fotografico che si svolge fra Sabaudia e la Torre di Chia, nelle abitazioni di Pasolini.
Anche qui si tratta di una performance nella quale Pasolini recita il ruolo di se stesso, fra le strade deserte della città, riverso sulla sua macchina da scrivere mentre compone un articolo, seduto nudo o steso sul letto.
Nello spazio usato come laboratorio il poeta in ginocchio disegna a carboncino ritratti di Roberto Longhi, il maestro conosciuto all’università nel 1941, ispirandosi alla foto di copertina del volume "Da Cimabue a Morandi", 1973, curato da Gianfranco Contini, che raccoglie i saggi più importanti dello storico dell’arte.
"Roberto Longhi", Pier Paolo Pasolini, 1975, pastelli su carta - ©Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux. |
È l'ultimo servizio fotografico prima del 2 novembre 1975, quando fu brutalmente assassinato.
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Pasolini ha espresso con il suo cinema la trasformazione dell’Italia dal Dopoguerra agli anni del neocapitalismo borghese.
Una concezione, anche politica, che ha espresso attraverso il dialogo tenuto fra alcune grandi opere della storia dell’arte e il suo lavoro cinematografico.
Con i disegni a pastello di Pasolini che ritraggono Roberto Longhi, la mostra sembra voler chiudere il cerchio, rievocando il maestro che aveva provocato in lui, tanti anni prima, una
"FOLGORAZIONE FIGURATIVA".
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1 marzo-2 novembre 2022
da lunedì a venerdì 14-20
sabato e domenica 10-20
martedì chiuso
chiusura estiva 15-23 agosto
A cura di:
-Cineteca di Bologna
-Comune di Bologna
-Alma Mater Studiorum Università di Bologna
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Bibliografia:
-testi pannelli mostra "Folgorazioni Figurative", sottopasso Re Enzo.
Sitografia:
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