3 – MIKAEL OLSSON
4 – VUJO MABHEKA
5 – JULIA GAISBACHER
Collegio Venturoli
via Centotrecento, 4
3 – MIKAEL OLSSON
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| Foto culturabologna.it |
Mikael Olsson (nato nel 1969 a Lerum, Svezia, vive a Stoccolma) è un artista, fotografo e occasionalmente attore, formatosi presso l’Università di Göteborg (1993-1996).
Ha partecipato alla Biennale di Architettura di Venezia (2018) e ha esposto in Svezia e a livello internazionale.
Oltre alla fotografia, ha recitato in film come The Square di Ruben Östlund e Suspiria di Luca Guadagnino.
È rappresentato dalla Galerie Nordenhake (Stoccolma/Berlino).
La mostraSÖDRAKULL FRÖSAKULL
Il suo lavoro più celebre è il progetto Södrakull Frösakull, in cui esplora e fotografa due case progettate dall'architetto modernista Bruno Mathsson negli anni '50 e '60.
Queste case non sono semplici abitazioni ma veri e propri manifesti architettonici: esperimenti radicali sul rapporto tra individuo e ambiente, tra lo spazio domestico e il paesaggio circostante.
Tra il 2000 e il 2006 Olsson le fotografa con un approccio distante sia dallo storico dell’architettura, impegnato nella ricerca di radici e motivazioni, sia dal documentarista, che registra i fatti.
Il suo è uno sguardo interpretativo, mostrando case sospese tra silenzio e tracce di vita quotidiana, evidenziandone sia la perfezione geometrica sia la fragilità e la memoria del tempo.
Ciò che emerge è soprattutto la loro vulnerabilità.
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4 – VUJO MABHEKA
| Foto di Sibusiso Bheka latitudes.online/artist |
Vuyo Mabheka (Libode, Eastern Cape, Sudafrica 1999) è un artista e fotografo sudafricano.
L'infanzia è segnata dalla perdita della nonna, che lo aveva allevato, dall'assenza paterna, e dai continui spostamenti con sua madre e la sorella minore fino a stabilirsi nel township di Thokoza, vicino a Johannesburg.
Si avvicina alla fotografia nel 2017 grazie al programma educativo Of Soul and Joy, che forma giovani talenti provenienti dai township.
I township sono quartieri periferici creati durante l'apartheid e destinati alle comunità nere, spesso segnati da condizioni sociali difficili.
La sua storia personale, segnata da continui spostamenti familiari, influenza profondamente la sua sensibilità artistica.
La mostra
"POPIHUISE"
I titoli delle opere, in lingua zulu e xhosa, richiamano i luoghi della sua crescita.
Il progetto, sospeso tra documento e finzione, riflette sul tema della casa come spazio affettivo e simbolico, ispirandosi al popihuis, la casa delle bambole "economica" costruita con materiali di fortuna nelle township.
L’artista utilizza le poche fotografie familiari sopravvissute ai numerosi traslochi, ritagliandole e reinserendole in scenografie disegnate a matita (volutamente ingenue) e collage colorati.
In questo modo la fotografia, che conserva il passato, incontra e a volte si scontra con il disegno, andando così a reinventare poeticamente l'infanzia.
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| Opera Bazobuya, di Vuyo Mabheka. |
Insieme ricostruiscono ciò che è stato perduto e creano un linguaggio visivo che immagina un possibile futuro.
Così, l'esperienza personale dell'artista diventa una metafora universale.
Le sue opere non raccontano solo la propria infanzia, ma riflettono la condizione di milioni di persone per cui, nell'epoca delle migrazioni di massa, abitare significa ricominciare continuamente, trovare nuove soluzioni e adattarsi senza sosta.
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| Opera Cara Cara, di Vuyo Mabheka. |
Mabheka ci fa riflettere sull’abitare, sul trasformare l’assenza in presenza e a rendere stabile ciò che non lo è mai stato, inserendosi a pieno titolo nel più ampio dibattito sull'abitare contemporaneo.
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| Opera Bhekela, di Vuyo Mabheka, dedicata alla comunità vicina a Thokoza, dove molti abitanti di Phola Park attendono una casa dal 1994. |
La serie POPIHUISE ha valso all'artista il Premio speciale della Giuria al festival Images Vevey (2023‑2024) e l’inserimento nella lista "Ones to Watch 2024" del British Journal of Photography.
Nel luglio 2025, il libro che accompagna il progetto, pubblicato da Chose Commune, ha ricevuto il premio per il miglior libro d’artista a Les Rencontres de la photographie di Arles.
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| Opera eDoliphini, di Vuyo Mabheka, dedicata al tema della città e ispirata a un antico termine Afrikaans. |
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Salgo al primo piano del Collegio Venturoli verso la terza e ultima mostra, e attraverso gli interni con le opere d'arte che animano gli spazi.
Dal terrazzamento si apre una splendida vista sul cortile interno.
5 – JULIA GAISBACHER
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| Foto juliagaisbacher.com/ABOUT |
Julia Gaisbacher (1983) è una fotografa e artista austriaca che vive a Vienna.
Ha studiato storia dell’arte all’Università di Graz e scultura all’Accademia di Belle Arti di Dresda e all'Accademia di Belle Arti di San Luca di Bruxelles.
Il suo lavoro nasce da una ricerca accurata e da un forte interesse per architettura, città e modi di abitare. Realizza fotografie, installazioni, film e libri fotografici.
La mostra"MY DREAMHOUSE IS NOT A HOUSE"
Questo lavoro racconta il progetto di edilizia sociale partecipata Gerlitzgründe di Graz, realizzato negli anni Settanta, in cui l’architetto Eilfried Huth progettò le case insieme ai futuri abitanti, superando la logica top-down, creando alloggi personalizzati e una comunità forte.
Il termine top-down è usato in molti ambiti per indicare un processo dall’alto verso il basso.
In architettura, descrive un modello in cui l’architetto prende tutte le decisioni progettuali e il progetto viene "calato" sui futuri abitanti, che non sono coinvolti attivamente.
Il progetto di Huth, invece, fa il contrario: coinvolge i futuri residenti e ascolta i loro bisogni, quindi rompe il modello top-down e crea un processo partecipato, basato sulla collaborazione.
Il progetto ebbe anche un forte valore sociale, poichè le prime 30 abitazioni furono destinate a famiglie a basso reddito e giovani coppie, rompendo le logiche del mercato immobiliare.
A quasi cinquant’anni di distanza, Julia Gaisbacher torna su questa esperienza con fotografie, un film, immagini d’archivio e un modello architettonico originale.
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| Modello architettonico modulare in legno del complesso Gerlitzgründe progettato da Eilfried Huth, conservato all’Architekturzentrum Wien. |
Le foto storiche mostrano la dimensione più privata del progetto.
Il film raccoglie interviste all’architetto Eilfried Huth e agli abitanti.
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| L’architetto Eilfried Huth mostra il modello modulare in legno del complesso Gerlitzgründe e spiega l’inserimento dei singoli elementi interni. |
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| Abitanti del complesso Gerlitzgründe assemblano all’aperto gli elementi modulari in legno per partecipare alla costruzione delle loro abitazioni. |
La mostra mette in relazione passato e presente e riflette su come oggi si pensa e si vive la casa, in un periodo segnato da crisi abitativa e nuove questioni sociali legate alla vita quotidiana e allo spazio comune.
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| Vista attuale delle case del complesso Gerlitzgründe con giardini e piccoli orti, con uso comunitario. |
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| Julia Gaisbacher intervista l’architetto Eilfried Huth per il video della mostra dedicata al progetto partecipato Gerlitzgründe di Graz. Foto Architekturzentrum Wien. |
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