giovedì 11 dicembre 2025

BIENNALE FOTO/INDUSTRIA 2025 | MOIRA RICCI – KELLY O'BRIEN

BOLOGNA, 7 novembre - 14 dicembre 2025
(vai alla pagina della Biennale Foto/Industria)

La mostra di Moira Ricci rimarrà aperta fino all'11 gennaio 2026.



10 - MOIRA RICCI
MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna
via Don Giovanni Minzoni, 14


Foto Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci


Moira Ricci è nata a Orbetello, Grosseto, nel 1977. 
La sua ricerca, spesso autobiografica, esplora l’identità personale e sociale, la storia familiare e il legame con il territorio, mescolando invenzione tecnologica e immagini della vita quotidiana. 

Ha esposto in Italia e all’estero.


La mostra
"QUARTA CASA"

Entrata alla mostra Quarta Casa di Moira Ricci al MAMbo di Bologna, Biennale Foto Industria 2025.


Quarta Casa, è la prima retrospettiva dedicata all’artista, cioè una mostra che raccoglie le sue opere principali realizzate in diversi periodi, per far vedere l’evoluzione del suo lavoro e della sua ricerca nel tempo. Non si concentra su un singolo progetto, ma offre una panoramica completa della sua  carriera, raccogliendo circa 25 anni di lavori.

Il tema centrale della mostra è la casa, intesa non solo come spazio abitativo, ma come contenitore di ricordi, relazioni e legami con il territorio, dove si intrecciano vita privata e collettiva.

Il tema della casa viene esplorato in due modi principali:

1. I luoghi d’origine: la Maremma e le sue comunità, leggende e natura.
Documenta la cultura contadina in via di estinzione e dà voce sia alle storie reali sia a quelle immaginarie della terra.

2. La dimensione familiare: i genitori e la propria storia personale.

La mostra evidenzia anche l’approccio transdisciplinare: l’artista usa diversi mezzi o strumenti – fotografia, video, scultura, musica, performance – scegliendo ogni volta quello più adatto per raccontare la sua idea.

La scelta del mezzo non è mai casuale: ogni forma espressiva contribuisce a trasmettere meglio il messaggio e le emozioni dell’opera.

La "quarta casa" è un luogo simbolico e interiore, costruito dall'arte fatta di ricordi, fotografie, memoria familiare e territorio, una casa della memoria e dell'identità.

❀❀❀

Introduzione:

 all’ingresso si trova un calco in gesso del corpo di Moira Ricci:

faccio un giro e torno (2001)

Installazione Faccio un giro e torno di Moira Ricci, calco in gesso e video, 2001, Biennale Foto Industria Bologna.
Calco in gesso, miniature in materiali vari, microtelecamera, video, 2001.


 Racconta il legame di Moira Ricci con due luoghi importanti della sua vita: la Maremma, dove è nata, e Milano, dove ha studiato e lavorato.
L’artista crea un percorso che segue la forma del suo corpo e lungo il tragitto inserisce piccoli oggetti che rappresentano ricordi, emozioni e immagini della sua storia.
La Maremma è posta ai piedi, a indicare le sue radici, mentre Milano è sulla testa. 

Le due zone sono unite da strade che attraversano la Toscana e il passo della Cisa, arrivano a Milano e ritornano al punto iniziale dall’altra parte del corpo, dando l’idea di un viaggio circolare.


Primo piano del calco in gesso di Moira Ricci con oggetti che seguono il corpo, mostra Quarta Casa, Bologna.


 Una minuscola macchina con una microcamera percorre questo corpo-paesaggio e filma tutto, creando un video che mostra il viaggio da vicino, come se lo spettatore fosse dentro la piccola macchina e vedesse il viaggio con i suoi occhi.


Primo piano della testa di Moira Ricci che rappresenta Milano, mostra Quarta Casa, MAMbo Bologna.

❀❀❀

Corpo centrale: i luoghi d'origine

La parte centrale dell’esposizione racconta i luoghi d’origine dell’artista attraverso installazioni artistiche dedicate al territorio e alla memoria del paesaggio.

dove il cielo è più vicino (2014)
Cresciuta nella campagna maremmana, Moira Ricci si interessa al rapporto tra uomo e natura e alla vita contadina, ancora poco cambiata rispetto al mondo moderno.

il diavolo mietitore
Nel video si vede come in un campo l'artista traccia due cerchi e li incendia, creando un gesto rituale e simbolico verso il cielo.


Installazione video Il Diavolo Mietitore di Moira Ricci, Biennale Foto Industria Bologna.

Il diavolo mietitore è un manifesto inglese xilografato del 1678, intitolato Il diavolo mietitore o notizie strane da Herefordshire.
Racconta la storia di un ricco proprietario terriero che si rifiutò di pagare di più a un bracciante per mietere il suo campo.
Il bracciante imprecò: "Che lo mieta il diavolo, allora!". Quella notte il campo di avena sembrò incendiarsi, e al mattino era perfettamente mietuto. Non si sa se a mietere fosse stato il diavolo o un altro demone, di certo non un essere umano; il padrone provò ad avvicinarsi alle balle d’avena, ma non riuscì né a sollevarle né a portarle via.

Copertina del 1678 del Diavolo Mietitore, manifesto inglese xilografato.


poderi
 Fotografie di case contadine abbandonate con porte e finestre cancellate, a simboleggiare edifici muti e senza identità.

Case contadine abbandonate nella serie Poderi di Moira Ricci, dal progetto Dove il cielo è più vicino.



trebbia-astronave – video 58'34"
Una vecchia mietitrebbia trasformata in un’astronave, simbolo del desiderio di partire e ricominciare altrove.

Case contadine abbandonate nella serie Poderi di Moira Ricci.



Trebbia-astronave di Moira Ricci, mietitrebbia trasformata in astronave nel progetto Dove il cielo è più vicino.



contadini
Ritratti di contadini con lo sguardo rivolto al cielo, collegando la terra al mistero e alle speranze.

Ritratti di contadini con lo sguardo al cielo nella serie Contadini di Moira Ricci.



Ritratti di contadini con lo sguardo al cielo nella serie Dove il cielo è più vicino, di Moira Ricci.

Il progetto dove il cielo è più vicino invita a pensare al futuro mantenendo un contatto con la storia e con ciò che ci osserva dall’alto.


❀❀❀

da buio a buio (2009)
È un progetto iniziato nel 2009 e concluso nel 2015. Racconta quattro storie misteriose: La bambina cinghiale, Il lupomannaro, L’Uomosasso e I gemelli.

Le storie si ispirano a leggende popolari che l’artista ascoltava da bambina in campagna.
Per raccontarle, ha raccolto fotografie e vari materiali, mescolando ricordi personali e tradizioni popolari.
Le storie vengono presentate come se fossero avvenute davvero, giocando tra realtà e fantasia.

Progetto Da buio a buio di Moira Ricci, quattro storie ispirate a leggende popolari.


Il lupo mannaro
Negli anni ’60, a Montiano (Toscana), si raccontava di un uomo chiamato Vasco Lumediluna che, nelle notti di luna piena, si trasformava in lupo mannaro.

Panoramica della stanza che ospita il progetto Da buio a buio di Moira Ricci.


Camminava lungo fossi e fiumi per alleviare un prurito, spaventando chi incontrava senza però ferire gravemente nessuno.
Di giorno si comportava normalmente. Oggi è molto anziano e vive ritirato in casa, mentre foto, video e testimonianze dell’epoca sono state raccolte dall’artista.


Foto dedicate alla storia del lupo mannaro nel progetto Da buio a buio di Moira Ricci.


La bambina cinghiale
Nel 1940, a Sant’Andrea (Grosseto), nacque una bambina con tratti simili a un cinghiale: viso, mani e naso ricordavano un suino, il corpo era normale ma coperto di peli e la voce emetteva grugniti.
La famiglia la tenne nascosta e negò la sua esistenza. Alcuni dicono che sia morta a sei anni, altri che possa essere ancora viva.
Le fotografie della bambina sono state conservate dal figlio del fotografo locale, Fausto Meravigli, che ha mantenuto intatto l’archivio storico.


Foto della storia della bambina cinghiale nel progetto Da buio a buio di Moira Ricci.



❀❀❀

Sezioni laterali: la dimensione familiare

Ai lati dell’edificio espositivo, come ad abbracciare i luoghi maremmani, si sviluppa il tema della dimensione familiare, esplorando legami, ricordi e storie personali.


loc. Collecchio, 26 (2001)
Moira Ricci ha realizzato un’opera per salutare la sua casa d’infanzia prima che venisse ristrutturata e cambiata per sempre.

Tornando a casa da Milano, vedeva i cambiamenti e sentiva che i ricordi di quando era bambina sparivano. L’opera è fatta con fotografie messe in quattro scatole di legno, una per ogni stanza: cucina, salotto, camera da letto e bagno.
Le foto mostrano mobili, oggetti di famiglia e la stessa artista nella casa.


Scatola della camera da letto dalla serie Collecchio di Moira Ricci.
Scatola della camera da letto.



Scatola del salotto dalla serie Collecchio di Moira Ricci.
Scatola del salotto


Nel video, ogni foto "parla" ripetendo una frase legata a quel momento, creando un insieme di ricordi.
Il video dura 4'39".

Serie Collecchio di Moira Ricci con quattro scatole di legno e video che dà voce alle stanze di casa sua.



a Lidiput (2003)
Tra il 2002 e il 2004, lavora come fotografa sulla spiaggia a Lido di Savio (Ravenna), ma i continui rifiuti delle persone trasformano l’iniziale entusiasmo in un lavoro faticoso e frustrante.
Per esprimere questo disagio, crea un autoritratto: il suo corpo sdraiato nella sabbia è coperto da sagome di persone che camminano e giocano senza accorgersi di lei.


Immagine grande formato Lidiput di Moira Ricci.

❀❀❀


20.12.53 –10.08.04 (2004-2014)
Nell'ultima commovente installazione, intitolata con le date di nascita e morte della madre, l'artista lavora su 50 fotografie.

In ogni immagine studia luce, colori, luogo e persone, poi inserisce se stessa nella scena, vestita e truccata per adattarsi alla foto originale (con un photo shop molto rudimentale, perchè era un software appena nato).


Prima immagine del progetto 20.12.53 – 10.08.04 di Moira Ricci, dedicato alla madre.

In alcune foto la madre appare più giovane, in altre coetanea dell’artista.
Con la sua presenza l'artista desidera dire alla madre quello che le sarebbe successo, avvertirla (è morta improvvisamente a causa di un incidente domestico), in un dialogo ovviamente impossibile.


Seconda immagine del progetto 20.12.53 – 10.08.04 di Moira Ricci, dedicato alla madre.

Il suo sguardo, sempre rivolto alla madre è cupo e pieno di dolore. Così l’artista cerca di elaborare il lutto, entrando nelle foto di famiglia come unico modo per "stare" con la madre, anche solo per un istante.


Terza immagine del progetto 20.12.53 – 10.08.04 di Moira Ricci, dedicato alla madre.



Quarta immagine del progetto 20.12.53 – 10.08.04 di Moira Ricci, dedicato alla madre.


Nell’ultima immagine della mostra, l’artista è vista di spalle mentre guarda attraverso una finestra, oltre la quale si trova sua madre.
Con questa composizione, Moira Ricci esprime la consapevolezza della distanza incolmabile tra loro e, allo stesso tempo, una forma di accettazione della realtà, riconoscendo lo stato delle cose così com’è.


Quinta immagine del progetto 20.12.53 – 10.08.04 di Moira Ricci, dedicato alla madre.


❀❀❀

_________________________


11 - KELLY O'BRIAN
Palazzo Zambeccari (Spazio Carbonesi)
via De' Carbonesi, 11

Foto Format Festival.com

Kelly O’Brien, nata a Derby, nel Regno Unito nel 1985, in una famiglia operaia di origine irlandese, realizza un lavoro artistico che unisce più linguaggi, influenzato dal suo ambiente d’origine e dalle sue esperienze personali.
È interessata a tutto ciò che normalmente non si vede: per lei l’assenza è un modo per immaginare nuove possibilità.

Lavorando insieme alle persone che ritrae, affronta temi come classe sociale, lavoro, genere e famiglia.


La mostra
"NO REST FOR THE WICKED"
(Nessun riposo per i malvagi)


Ingresso di Palazzo Zambeccari allo Spazio Carbonesi per la mostra di Kelly O’Brien 2025.


Lo Spazio Carbonesi di Palazzo Zambeccari, in cui è allestita la mostra, ha uno splendido affresco:
"L'Olimpo", di Giuseppe Rolli e Giacomo Alboresi.


Affresco “L’Olimpo” di Rolli e Alboresi sul soffitto dello Spazio Carbonesi in Palazzo Zambeccari.

L'esposizione racconta la storia della famiglia di Kelly O’Brien e soprattutto il lavoro faticoso della mamma e della nonna.

Kelly viene da una famiglia proletaria e ha vissuto in una casa popolare in Inghilterra.
Sua nonna fu la prima a immigrare dall'Irlanda, sua madre lavorava come addetta alle pulizie.

Per più di vent’anni ha fotografato in silenzio le due donne mentre lavoravano in casa tutti i giorni.

La casa, che per molti è un posto dove riposarsi, per loro era un posto dove continuare a lavorare: pulire, cucinare, sistemare tutto. Un lavoro senza fine, senza visibilità.

Vista panoramica della mostra di Kelly O’Brien allestita nello Spazio Carbonesi.


Il titolo della mostra No rest for the wicked, è un’espressione di origine biblica da Isaia (57:21) che afferma: "Non c’è pace per i malvagi, dice il mio Dio", ed è una condanna spirituale, cioè coloro che si allontanano da Dio e agiscono malvagiamente, non troveranno mai riposo o pace interiore, ma solo tribolazione.

Nel linguaggio moderno però, la frase è usata in senso figurato per descrivere una condizione di lavoro incessante: si continua a faticare senza mai una vera pausa, come in un ciclo infinito di impegni e stanchezza.

Le foto in bianco e nero mostrano quanta fatica dovessero sopportare le donne della sua famiglia.


Fotogrammi in bianco e nero che raccontano gesti di lavoro quotidiano nella mostra di Kelly O’Brien.


In una foto, la mamma è collegata al detto inglese "A chip on your shoulder" (Avere il dente avvelenato).


Fotogramma ravvicinato della madre che lava i piatti, legato al detto inglese “A chip on your shoulder”.


Kelly si è ispirata anche alla nonna, che era molto religiosa e aveva tante immagini sacre in casa.
Per questo, Kelly ritrae la mamma coperta dal mocio, come a nascondere l'identità per rendere universale la figura della "cleaner" e, allo stesso tempo, trasformarla in una santa moderna, circondata da candele.


Altare con candele dedicate a donne lavoratrici e ritratto della madre coperta dal mocio come santa moderna.

Su ogni candela c’è il nome di una donna che lavora tanto per gli altri, che cura e si sacrifica.

Gli scarponi, i grembiuli, i moci e i flaconi di detersivo mostrano in modo concreto anni di lavoro nascosto.
Oggetti così semplici diventano "reliquie" per raccontare la fatica di generazioni.


Scarponi consumati esposti come simbolo della fatica e del lavoro domestico invisibile.


I televisori accesi e i video presenti nell’allestimento fanno sentire la presenza reale delle persone di cui si parla. Non sono immagini perfette, ma scene di vita quotidiana, che spesso passano inosservate.


Televisori con video che mostrano scene di vita quotidiana.


Nelle opere più nuove, Kelly utilizza oggetti domestici dai colori forti e scritte ironiche per ridicolizzare i giudizi e gli stereotipi rivolti alle donne proletarie.
Il grembiule con la scritta "La pulizia è prossima alla santità", santifica un lavoro che nella realtà è usato per opprimere o marginalizzare.


Grembiule esposto come oggetto che rappresenta il lavoro domestico invisibile di molte donne.


Le sue foto non mostrano quasi mai i volti: a volte sono girati, sfocati o nascosti.
Così Kelly ci fa capire la vergogna che provano queste donne e al tempo stesso il loro desiderio di essere rispettate.

La casa è sacra, proprio perchè è il luogo dove si è consumata tutta quella fatica silenziosa.

Ma non è un vero rifugio, perchè per queste donne è sempre stata anche un luogo di lavoro continuo.


Così, attraverso le figure di sua madre e di sua nonna, Kelly O'Brien denuncia la disuguaglianza di genere e di classe, e allo stesso tempo rivendica dignità e "presenza" per chi è stata spesso invisibile.


__________________________



> LA PAGINA DI FOTO/INDUSTRIA



Ti è piaciuto questo post? Condividilo sui social e iscriviti alla mia newsletter: è il modo migliore per supportare il mio lavoro.



NOTE:

-Mentre le altre mostre della Biennale chiuderanno il 14 dicembre 2025, quella di Moira Ricci al MAMbo e quella di Forensic Architecture a Palazzo Bentivoglio Lab, resteranno aperte fino all'11 gennaio 2026, e la mostra di Jeff Wall al MAST fino all'8 marzo 2026.

-Le opere qui pubblicate, pur non essendo complete, seguono fedelmente il percorso dell’esposizione e hanno un valore proprio. Le condivido non solo come invito a visitare la mostra, che è un’esperienza oltretutto gratuita, ma soprattutto come lettura per tutti coloro che esplorano il mondo anche da casa.

-Tutte le foto sono di Monica Galeotti, salvo le foto personali delle artiste (fonti indicate).

-Per vedere le foto in alta risoluzione, clicca sull'immagine.
Per una visione ottimale consiglio il PC.


FONTI:

-pieghevole MAST
-cartellonistica in loco

sabato 6 dicembre 2025

BIENNALE FOTO/INDUSTRIA 2025 | SISTO SISTI – ALEJANDRO CARTAGENA

BOLOGNA, 7 novembre - 14 dicembre 2025
(vai alla pagina della Biennale Foto/Industria)

Qui presento l'ottava e la nona mostra: quella di SISTO SISTI a Palazzo Paltroni e quella di ALEJANDRO CARTAGENA  a Palazzo Vizzani.

➺➺➺


8 - SISTO SISTI
Palazzo Paltroni
(Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna)
via delle Donzelle, 2


Ritratto di Sisto Sisti esposto nella mostra Microcosmo Sinigo alla Biennale Foto Industria 2025.


Sisto Sisti (Ferrara, 1906 – Merano, 1981),
si trasferisce giovane a Bologna, dove forma la famiglia.

Negli anni ’30 si sposta in provincia di Bolzano, lavora a Marlengo e a Sinigo, dirigendo il CRAL aziendale.

Nel dopoguerra è membro del CLN Alto Adige e nel 1964 riceve il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana.

 Nel 2003 l’Archivio Provinciale di Bolzano acquisisce il suo fondo fotografico di oltre 13.000 immagini.



La mostra
"MICROCOSMO SINIGO"



Entrata del Palazzo Paltroni durante la mostra Microcosmo Sinigo di Sisto Sisti alla Biennale Foto Industria 2025.



La mostra racconta la vita nel borgo e nello stabilimento chimico Montecatini di Sinigo, in Alto Adige, tra il 1935 e il 1950.

La costruzione dello stabilimento chimico e del villaggio di Sinigo provocò proteste locali per il timore di inquinamento e per l’arrivo di molti lavoratori, parte del progetto fascista di "italianizzare" il Südtirol.
La fabbrica aveva infatti un forte valore ideologico: serviva sia come obiettivo di autarchia industriale e agricola, sia alla "bonifica umana" di un territorio dove la maggioranza era di lingua e cultura tedesca.

La fabbrica Montecatini, allora il secondo polo chimico d’Europa, produceva fertilizzanti e portò nel meranese migliaia di operai, tra cui Sisti e la sua famiglia.

Sisti, fotografo autodidatta, si dimostrò però refrattario a ogni imposizione di regime.
Guidato da curiosità ed entusiasmo, esplorava il borgo e la fabbrica, parlando con chiunque e documentando uno spazio concepito quasi come una dimora collettiva: spazi comuni, orti condivisi, bar, cinema, spaccio, scuola e ambulatorio medico formavano un vero e proprio microcosmo.

-----------------------


Il progetto espositivo
Questa mostra presenta le fotografie più antiche di tutta la Biennale Foto/Industria 2025.
L’edizione di quest’anno è infatti dedicata soprattutto alla contemporaneità.
Il progetto di Sisto Sisti rappresenta invece un’eccezione: ha quasi un secolo di vita ed è dedicato a un autore fino a poco tempo fa poco noto al grande pubblico.

Ingresso della mostra Microcosmo Sinigo di Sisto Sisti allestita negli spazi del palazzo.


Il suo fondo, acquisito dall’Archivio Provinciale di Bolzano nel 2003, è stato recentemente valorizzato e messo in mostra per la prima volta nel 2024, offrendo agli studiosi di fotografia storica una novità assoluta, un campo di ricerca appena aperto che richiederà ulteriori approfondimenti.

La mostra è curata da Alessandro Campaner, archivista che conosce l’intero fondo fotografico, e da Stefano Riba di Foto Forum Bolzano, dove la mostra è stata esposta per la prima volta.

Una scelta condivisa dai curatori è stata quella di presentare la maggior parte delle immagini in forma di proiezione e non come stampe.
Questo perché la proiezione permette di mostrare la ricchezza dell’archivio e di restituire quella sensazione di accumulo e di ossessione con cui Sisti registrava ogni dettaglio.
Così in mostra si vedono circa 600 fotografie, un numero impossibile da ottenere con stampe.

Inoltre Sisti non stampava quasi mai: conservava soprattutto negativi, usati per consegnare la documentazione all’azienda oppure, occasionalmente, per piccoli lavori privati.

L’allestimento è organizzato in capitoli tematici:
la fabbrica, i componenti meccanici, i luoghi, i ritratti, i momenti.


FABBRICA

La Montecatini aveva sede a Firenze dal 1888 con stabilimenti in tutta Italia e negli anni Sessanta si fuse con Edison diventando Montedison.
Fu costruita a Sinigo all’inizio degli anni Venti e fotografata da Sisti a partire dal 1935.
Tra il 1926 e la fine degli anni ’50 la Montecatini di Sinigo produceva fertilizzanti azotati, un’attività ad alto rischio che provocò incidenti mortali e gravi danni alla salute degli operai, spingendo negli anni ’30 a una campagna di prevenzione a cui Sisti contribuì.

Operai alla Montecatini di Sinigo durante il riempimento dei carrelli, scena di produzione industriale 1938–1941.

Negli anni ’60 l’impianto fu riconvertito al silicio, tuttora prodotto dopo vari passaggi di proprietà.
Oggi, nel 2025, lo stabilimento conta 200 operai, contro i 1.200 di un secolo fa.


Un fotografo-operaio dentro la fabbrica
Il lavoro di Sisti è particolare perché lui era contemporaneamente operaio e fotografo della fabbrica che documentava. Non era quindi un osservatore esterno: viveva gli stessi spazi che fotografava. Questo doppio ruolo rende le immagini uniche e offre una visione interna e quotidiana del mondo operaio.


COMPONENTI
L’immaginario industriale che emerge è quello tipico delle fabbriche italiane tra gli anni Venti e il Dopoguerra: macchinari, reparti produttivi, routine di lavoro. Ma a differenza di molti archivi che nascono da incarichi ufficiali o da fotografi esterni, qui tutto è visto da chi la fabbrica la abitava davvero.


Maschere per l’ossigeno nella fabbrica Montecatini di Sinigo, dettagli tecnici delle attrezzature 1938–1941.


Sisti documentava i componenti usurati degli impianti per migliorare attrezzature e sicurezza sul lavoro.
Pur non essendo richiesto, curava l’aspetto compositivo delle immagini, attenzione che si ritrova anche nelle nature morte di ambienti domestici incluse in questa proiezione.

Dispositivi antinfortunistici usati alla Montecatini di Sinigo, attrezzature di sicurezza 1938–1941.




Occlusione nella fabbrica Montecatini di Sinigo, 1938–1941.



Il microcosmo di Sinigo
Sisti non fotografa solo macchine e strumenti: documenta anche tutto ciò che circonda la fabbrica, il "backstage".
Una parte consistente del suo archivio è dedicata infatti al villaggio operaio, pensato come un quartiere autosufficiente.

Da qui nasce il titolo della mostra: un vero microcosmo, un mondo completo in cui lavoro e vita privata si intrecciano.

LUOGHI
Le immagini di Sisti documentano luoghi ormai quasi scomparsi: reparti della fabbrica, centrale idroelettrica, padiglione assistenziale, mensa, infermeria, abitazioni, orti, colonia, cinema, spaccio aziendale, scuola per i figli dei lavoratori e case per le famiglie.


Veduta panoramica del borgo Vittoria di Sinigo, ambienti urbani e vita del villaggio tra 1928 e 1935.


Gli edifici furono progettati da Ugo Giovannozzi, autore del primo nucleo del villaggio nel 1924, e dall’architetto milanese Sartorio, che negli anni ’30 realizzò il complesso razionalista del fabbricato assistenziale.

Interno del bar del dopolavoro a Sinigo nel 1938, luogo di ritrovo della comunità operaia.





Esterno del bar del dopolavoro di Sinigo nel 1938, spazio sociale della comunità del borgo.





Teatro-cinema del dopolavoro di Sinigo nel 1938, spazio culturale per gli abitanti del borgo.



RITRATTI
Per passione e per integrare lo stipendio, Sisti fotografava familiari, amici, colleghi e persone comuni.

Ritratto di Silvana Sisti a Sinigo tra il 1943 e il 1944, fotografia familiare di Sisto Sisti.

 6.663 dei suoi 13.000 scatti sono ritratti che ritraggono individui di ogni età e classe sociale, in pose naturali o studiate, sorridenti o seri. Molte fotografie furono scattate nel suo salotto, trasformato in set e laboratorio di stampa, con la partecipazione della famiglia.
Le fotografie restituiscono un mosaico di attimi e volti: una sinfonia d'immagini.

Ritratto di una donna del borgo di Sinigo, scena di vita quotidiana documentata da Sisto Sisti.




Ritratto di un ragazzo di Sinigo, testimonianza della vita nel borgo documentata da Sisto Sisti.




MOMENTI
Per anni Sisti si occupò del dopolavoro aziendale, organizzando tornei, gite, spettacoli e concerti, e fotografando sia eventi come matrimoni e battesimi sia la vita quotidiana.
Il suo impegno ricordava le Case del Popolo di ispirazione socialista, mentre durante il fascismo fabbrica e villaggio servivano a controllare le persone e diffondere propaganda.

Momento di una gara di bocce a Sinigo nel 1939, attività ricreativa della comunità operaia.




Distribuzione dei doni nella Befana fascista a Sinigo nel 1942, iniziativa del dopolavoro.




Persone tra i filari di pomodori a Sinigo tra 1934 e 1938, scena agricola del borgo.




Il mondo di Sisti
Nell'ultima sala si trovano alcune stampe d’epoca e materiali che raccontano la vita personale di Sisti, tra cui una fotografia in cui appare in cucina con la moglie.

Tre fotografie di Sisto Sisti, tra cui il gesto domestico dei piatti asciugati e la cucina di Casa Sisti a Sinigo nel 1944.
Tre fotografie di Sisto Sisti, tra cui il gesto domestico dei piatti asciugati
e la cucina di Casa Sisti a Sinigo nel 1944.


Poi ci sono gli album e altri materiali.

Bacheca con negativi e album originali di Sisto Sisti esposti nella mostra Microcosmo Sinigo.



C'è una bacheca luminosa Kaiser Prolite LED con 10 negativi su vetro, a mostrare un pò del suo archivio; da sinistra: tre donne nel cortile di casa, case per operai specializzati, sala da biliardo, fototessera del passaporto di una donna croata, cartellone di propaganda antinfortunistica, Borgo Vittoria a Sinigo, la cucina della famiglia Sisti, Gianna Sisti con la sua bambola su una terrazza, ritratto scontornato di una bambina, laboratorio chimico Montecatini.

Bacheca con negativi e album originali di Sisto Sisti esposti nella mostra Microcosmo Sinigo.



Era molto attento ai diritti dei lavoratori, soprattutto alla sicurezza, a quei tempi un tema pionieristico.
Parte del suo archivio è infatti dedicato agli infortuni sul lavoro.

Cartellone di propaganda antinfortunistica firmato da Sisto Sisti per lo stabilimento Montecatini di Sinigo nel 1941-42.
Cartellone di propaganda antinfortunistica disegnato e firmato da Sisto Sisti
per lo stabilimento Montecatini di Sinigo nel 1941-42.



Operaio con maschera antipolvere che carica un carrello di materia prima alla Montecatini di Sinigo nel 1941-42.
Operaio con maschera antipolvere che carica un carrello di materia prima,
alla Montecatini di Sinigo nel 1941-42.



È importante ricordare il contesto storico: il periodo in cui lavorava coincide con il fascismo; Sisti arriva in Alto Adige proprio negli anni dell'italianizzazione della regione, periodo in cui si tentava di cancellare la cultura tedesca.

Panoramica di una parete espositiva con cinque fotografie di Sisto Sisti nella mostra Microcosmo Sinigo.


Era noto in fabbrica per il suo abbigliamento completamente bianco, un gesto che lo distingueva simbolicamente in mezzo alle camicie nere.
Qui lo si vede in giacca bianca ai festeggiamenti del 21 aprile presso il dopolavoro della Montecatini nel 1939.
In quella data si festeggiava il > Natale di Roma.
Non si lasciava influenzare dal regime e non accettava imposizioni, tanto da rifiutare l'iscrizione al partito fascista.

Sisto Sisti in giacca bianca ai festeggiamenti del 21 aprile presso il dopolavoro della Montecatini nel 1939.





Fotografia della serata del dilettante al dopolavoro ammoniaca e derivati di Sinigo tra il 1940 e il 1945.

Serata del dilettante, tra il 1940 e il 1945.




Alcune fotografie mostrano parti della fabbrica distrutta dalla guerra, 5-20 aprile 1945.

Danni agli edifici e agli impianti della Montecatini di Sinigo provocati dai bombardamenti del 5-20 aprile 1945.




Il video delle figlie
Su uno schermo è proiettata un’intervista alle figlie di Sisti, realizzata a Bologna circa trent’anni fa, poco dopo l’acquisizione dell’archivio a Bolzano.
Anche loro oggi non ci sono più, e il video – semplice, quasi "artigianale" – è diventato un prezioso documento storico.

Racconta non solo il lavoro fotografico del padre, ma anche il suo ruolo politico in azienda e la sua vita quotidiana.

Fotogramma dall’intervista video a Gianna e Silvana Sisti del 2002, mostra microcosmo Sinigo.
Intervista a Gianna e Silvana Sisti del 2002, di Elisabeth Baumgartner, 15' 22".



Serie di autoritratti goliardici realizzati da Sisto Sisti tra gli anni Trenta e Quaranta, esposti in mostra.
Autoritratti goliardici Sisto Sisti, 1930-1940.



Dall'Italia ci spostiamo in Messico, dove il prossimo artista esplora l'area suburbana di Monterrey.

_________________________

9 - ALEJANDRO CARTAGENA
Palazzo Vizzani – Alchemilla
via Santo Stefano, 43



Alejandro Cartagena (nato nel 1977 a Santo Domingo, Repubblica Dominicana) vive e lavora a Monterrey, Messico.
Usa paesaggi e ritratti per indagare urbanizzazione, sviluppo economico, ambiente e disuguaglianze sociali. Il suo lavoro è stato esposto in istituzioni internazionali (ad esempio Fondation Cartier e CCCB) e fa parte di collezioni come il San Francisco MOMA, il Getty, il Museum of Contemporary Photography di Chicago e altri.
Cartagena pubblica anche libri fotografici; tra questi A Small Guide to Homeownership (Velvet Cell, 2020), da cui nasce la mostra.


La mostra
"A SMALL GUIDE TO HOMEOWNERSHIP"
(Piccola guida alla proprietà della casa)



Ingresso della mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena a Palazzo Vizzani, Bologna.


All’inizio degli anni 2000, Monterrey divenne il centro di una suburbanizzazione senza precedenti: più di 300.000 abitazioni sorsero nelle sue periferie.
A costruirle furono grandi fondi immobiliari privati, sostenuti dal governo, che vedeva in questo modello un modo rapido per colmare il forte deficit abitativo nazionale, incentivando la produzione rapida di case economiche, soprattutto dove il terreno costava poco. 

Questo mix di capitali privati, incentivi pubblici e costi del suolo bassissimi generò una crescita edilizia enorme e rapidissima, che solo in seguito rivelò le sue debolezze: quartieri distanti dai servizi, carenze infrastrutturali e tassi elevati di abbandono.

La mostra mette in discussione la retorica della casa di proprietà come garanzia di benessere, mostrando invece i rischi sociali, ambientali ed economici prodotti da questa espansione.

Il percorso espositivo
Il percorso espositivo è diviso in quattro sezioni. Ognuna affronta un aspetto diverso:

1. la struttura dei nuovi quartieri;
2. la vita dei nuovi residenti e le loro aspettative spesso deluse;
3. le conseguenze ambientali dell’espansione urbana;
4. la debolezza dei sistemi di trasporto.



1. la struttura dei nuovi quartieri e la loro costruzione;

Panoramica della prima sala della mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena con immagini dei nuovi quartieri.



La mostra è il risultato di 13 anni di ricerca sulla suburbanizzazione di Monterrey.
Questo processo è simile a quello di molte città degli Stati Uniti, che porta alla crescita incontrollata delle periferie.

Edifici dei nuovi quartieri di Monterrey nella mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena.



2. la vita dei nuovi residenti e le loro aspettative spesso deluse;

Seconda sala della mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena dedicata alla vita dei residenti e alle loro aspettative deluse.


La seconda sala mostra le fotografie dei quartieri alcuni anni dopo, per osservare come siano cambiati tra il 2008 e il 2010: chi li abita, come si sono sviluppati, quali dinamiche sociali sono emerse.

Qui emerge una popolazione molto giovane che aveva acquistato casa con l’idea di iniziare una nuova vita. Negli anni Settanta e fino ai primi Duemila Monterrey ha attraversato una fase molto difficile a causa del cartello della droga e della criminalità organizzata.
Con il miglioramento della sicurezza, molti giovani sognavano un futuro diverso.


Teli appesi con immagini degli abitanti dei nuovi quartieri nella mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena.


Ma questo desiderio si è scontrato con la realtà.
Anche perché la cultura della casa di proprietà non apparteneva alla tradizione locale: è stato il governo a promuoverla come modello ideale, trasformandola in un nuovo paradigma culturale.

Panorama al crepuscolo di un agglomerato di case con negozi illuminati nella mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena.


Durante la mostra si vedono alcuni televisori con video istituzionali degli anni ’50 e ’60: erano filmati realizzati negli Stati Uniti per convincere le persone a comprare casa.
Il governo messicano, decenni dopo, adottò una strategia simile.
Un caso emblematico è quello di Los Angeles, dove la città si è estesa all’infinito con quartieri residenziali costruiti in periferia, carichi della retorica del "sogno americano".
I risultati non sono stati identici, ma il modello di sviluppo è stato molto simile.

Televisore con video istituzionale anni ’50-’60 negli Stati Uniti nella mostra “A Small Guide to Homeownership” di Alejandro Cartagena.



3. le conseguenze ambientali dell’espansione urbana;

Terza sala della mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena dedicata alle conseguenze ambientali dell’espansione urbana.


Le case sono state costruite in una zona arida, non un deserto sabbioso, ma un territorio comunque fragile, che è stato completamente trasformato da un’edificazione massiccia.

Strada asfaltata in paesaggio arido dei nuovi quartieri nella mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena.


Oggi Monterrey conta 5 milioni di abitanti, e questi quartieri sono stati inglobati nel tessuto urbano, generando fratture profonde con l’ambiente precedente: aumento dell’inquinamento, deviazione di corsi d’acqua, problemi di siccità.
Non a caso molte abitazioni hanno grandi contenitori per l’acqua sui tetti.

Fotografia dei grattacieli nei nuovi sviluppi urbani nella mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena.




4. la debolezza dei sistemi di trasporto.

La mancanza di servizi ha portato a una dipendenza totale dal trasporto privato, e quest'ultima sala vede la serie fotografica che ha reso celebre l’artista in tutto il mondo nel 2014: è la serie Carpoolers, scattata dai ponti di Monterrey.

Quarta sala della mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena con la serie Carpoolers sui problemi dei trasporti urbani.
Carpoolers #74


Cartagena si posizionava sopra le infrastrutture e fotografava dall’alto i pick-up che passavano sotto.
Nei cassoni dei pick-up si vedono persone sdraiate, che si riposano dal viaggio quotidiano.

Il paradosso è che le distanze non sono lunghe, ma il traffico è così congestionato che per raggiungere il centro, o tornare a casa, si impiega moltissimo tempo.

Infatti la ragione principale del fallimento di questa operazione è la posizione: questi quartieri sorgono fuori dalla città, lontani da servizi essenziali come scuole, ambulatori e ospedali.
Per qualsiasi necessità si è costretti a raggiungere il centro, e alla fine queste zone si sono trasformate in quartieri-dormitorio.


IL LIBRO
Ho camminato tra le foto sospese, in un percorso volutamente surreale, e mi sono ritrovata nei panni di una futura abitante che valuta l’acquisto di una casa.

 Le immagini sembrano propormi soluzioni, suggerire possibilità, proprio come accade a chi davvero vive a Monterrey.
Ma, passo dopo passo, questo finto itinerario rende visibili le contraddizioni e i limiti del modello basato sulla proprietà privata: ciò che un residente reale scoprirebbe solo dopo aver comprato la casa e averci già messo radici, lo vedo emergere lungo il percorso espositivo.

Lo stesso accade con il libro che ha ispirato l'intero progetto e chiude l'itinerario: Piccola guida alla proprietà della casa.

Tavolino con il libro A Small Guide to Homeownership che chiude l’itinerario della mostra di Alejandro Cartagena.

Ironico e provocatorio, vorrebbe essere un manuale all’acquisto di una casa a Monterrey, come i libretti degli anni ’50 e ’60, quelli che spiegavano come acquistare un’abitazione e che tipo di comunità immaginare: tutto ciò che si pensava potesse servire a chi comprava la prima casa.

Primo piano del libro A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena esposto alla mostra.


Ma le foto appiccicate sul testo svelano tutte le falle del sistema.

Pagine aperte del libro A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena con foto appiccicate sul testo.




econda immagine del libro aperto A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena



L'installazione dei teli
La scelta espositiva dei teli appesi con le fotografie risponde a due esigenze.
Da un lato, creare un senso di movimento e di confusione: questo evoca la stessa sensazione di smarrimento e straniamento che provano gli abitanti di questi quartieri.
Dall’altro, i teli funzionano come pagine da toccare e sfogliare, richiamando l’idea del libro.


Panoramica dell’installazione dei teli sospesi con immagini fotografiche nella mostra A Small Guide to Homeownership di Alejandro Cartagena.



Chi desidera esplorare l'intero archivio delle serie fotografiche di Alejandro Cartagena – incluse le due presenti in questa mostra Suburbia Mexicana e Carpoolers – può consultare il sito più completo sul suo lavoro:


__________________________




Ti è piaciuto questo post? Condividilo sui social e iscriviti alla mia newsletter: è il modo migliore per supportare il mio lavoro.



NOTE:
-Le opere qui pubblicate, pur non essendo complete, seguono fedelmente il percorso dell’esposizione e hanno un valore proprio. Le condivido non solo come invito a visitare la mostra, che è un’esperienza oltretutto gratuita, ma soprattutto come lettura per tutti coloro che esplorano il mondo anche da casa.

-Tutte le foto sono di Monica Galeotti, salvo la foto personale di Alejandro Cartagena (fonte indicata).

-Per vedere mappa e foto in alta risoluzione, clicca sull'immagine.
Per una visione ottimale consiglio il PC.

FONTI:
-per Sisto Sisti resoconto di visita guidata con Francesco Zanot.
-per Alejandro Cartagena resoconto di visita con guida interna.
-pieghevole MAST
-cartellonistica in loco