martedì 3 novembre 2020

MOLINO STUCKY

Isola della Giudecca

(torna all'itinerario sull'Isola della Giudecca) 



12- La dodicesima e ultima tappa sull'isola della Giudecca vede il grande mulino, con la sua storia particolare e interessante.

Il Molino Stucky è così imponente e particolare, mattoni rossi e altezza vertiginosa, tanto che mi sono sempre chiesta quale fosse stata, e quale fosse, la sua destinazione.


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Il Molino da Dorsoduro.




LA STORIA 

 Il capostipite della famiglia è Hans, partito giovanissimo da Berna all’inizio dell’Ottocento.

 Decide di stabilirsi a Venezia trovando lavoro nel Mulino San Girolamo, l'unico della città, situato all'interno di una vecchia chiesa nel quartiere di Cannaregio.

Qui incontra la sua futura moglie, veneziana, e va a vivere vicino al mulino. Hans diventa capomastro e arriva presto alla direzione. Mantiene la nazionalità svizzera ma si sente veneziano d'adozione, tanto da dare al suo primo figlio un nome italiano: Giovanni.

Giovanni studia nelle migliori scuole, anche all'estero, ed eredita le capacità imprenditoriali del padre, individuando alla Giudecca un antico convento, che trasforma in mulino.

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Busto di Giovanni Stucky nel Molino Stucky


Il mulino funziona ma Giovanni, che è un visionario, sogna una cattedrale, influenzato dagli edifici che ha visto in Germania durante i suoi studi.

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Il progetto sfida i canoni estetici della città, e viene rifiutato più volte. Lui non si arrende e la città infine concede l'autorizzazione.

Il mulino fu ampliato tra il 1884 e il 1895. La progettazione fu affidata all'architetto Ernst Wullekopf, che realizzò uno dei maggiori esempi di architettura neogotica applicata ad un edificio industriale.

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Wullekopf dotò l'edificio del nome del proprietario, sormontato da un gigantesco orologio.

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Giovanni istituisce un programma innovatore, quasi del tutto automatizzato.
Porta il mulino a dare lavoro a 1500 operai e a produrre fino a 2500 quintali di farina al giorno, con una posizione strategica per il trasporto di merci su acqua. 


Sull'isola vivevano molte famiglie della classe operaia, in condizioni igieniche spaventose, ciononostante Giovanni decide di andare ad abitare sull'isola con tutta la famiglia, a pochi passi dal mulino, vicino agli operai.
 
Mantiene però anche la tradizione veneziana, secondo la quale un mercante facoltoso si fa costruire un palazzo a Venezia. Sul canale non ci sono più spazi liberi dove costruire, così compra → Palazzo Grassi.
Questa proprietà gli permette di avere un palco riservato al Teatro La Fenice, come tutte le altre famiglie importanti della città.

Tutto ciò che si è conquistato è destinato al figlio Giancarlo, il quale però non ha la stoffa dell'imprenditore. Le sue passioni sono l'arte e la fotografia.

L'inizio della decadenza del Molino Stucky ha inizio a partire dal 1910, quando Giovanni viene assassinato alla Stazione di Santa Lucia.
Sta aspettando il treno insieme al figlio Giancarlo, quando un uomo gli si getta addosso tagliandogli la gola. Giovanni muore sotto gli occhi del figlio per mano di un anarchico di 35 anni, ex operaio del mulino.
Durante il processo grida il suo odio verso i ricchi: "Guadagnano il denaro succhiando il sangue dei poveri".

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Giancarlo si ritrova quindi a dover gestire un'azienda con tanti operai.
Le vicende storiche non lo aiutano:
i macchinari iniziano a diventare obsoleti, il commercio su rotaia più conveniente di quello marittimo, ma soprattutto la Seconda Guerra Mondiale, dove l'attività fu fermata per fare dell'edificio una postazione di difesa antiaerea.

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Dopo la guerra gli imprenditori di Venezia fondano un gruppo, legato al regime fascista, e sviluppano il Porto di Marghera.
Fra questi c'è Giuseppe Volpi, imprenditore a capo di una società elettrica, la SADE, che coinvolge Giovanni Stucky e lo fa entrare nel gruppo.

Le politiche del fascismo penalizzano il mulino, che comprava molto grano all'estero, mentre la nuova politica predilige un grano di produzione italiana.
Il mulino non è più competitivo e Giancarlo è costretto a vendere la sua collezione di opere d'arte e a licenziare più di 30 operai.
L'unico escamotage per salvare l'azienda è quello di attingere ai fondi statali per danni di guerra.
La sua richiesta viene respinta perchè solo i cittadini italiani ne hanno diritto e lui non è italiano.

Per evitare il fallimento è costretto a cedere ai creditori tutti i suoi beni, che diventano proprietà della Banca Commerciale.

Gli Stucky devono lasciare Palazzo Grassi e Giancarlo con la madre anziana si trasferisce in un appartamento in affitto.

Gioca la sua ultima carta rivolgendosi a Giuseppe Volpi, colui che lo aveva fatto entrare nella elite degli imprenditori veneziani.

Volpi, che è molto occupato ad organizzare la Mostra del Cinema di Venezia, di cui è il fondatore, nega a Giancarlo qualsiasi aiuto.

Nel 1934 il mulino è in crisi nera: viene comprato da Giuseppe Volpi a un prezzo ridicolo.

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Nel 1941 Giancarlo muore improvvisamente a 60 anni: suicidio o morte di dolore?
Viene sepolto nell'Isola di San Michele nella cappella di famiglia.

Nel suo testamento, redatto quattro mesi prima, si legge:
"Ho sempre usato il denaro per creare, seguendo l'esempio di mio padre, il mio patrimonio è andato in fumo, mio malgrado. Sono l'ultimo degli Stucky a Venezia e desidero che dopo la mia morte questo nome rispettato appaia soltanto nel cimitero di San Michele, dove riposano i miei cari che ho amato più di tutto."

Da semplici mugnai a pionieri dell'industria veneziana, quella degli Stucky, saga familiare di tre generazioni di mercanti, gli ultimi della città, è diventato un dramma borghese.

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In ogni caso le sorti del mulino sono quelle del fallimento, con l'irreversibile chiusura avvenuta nel 1955. 
 
Seguono 40 anni di abbandono e di vandalismi.

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Rilevato nel 1994 dal gruppo Acqua Marcia, è stato infine ceduto alla catena di alberghi Hilton. 
L'area industriale è stata posta sotto la tutela della Sovraintendenza delle Belle Arti e, lasciandone inalterata l’architettura neogotica, è stata sottoposta ad uno dei maggiori restauri conservativi d’Europa.

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Videografia: 
-"Città Segrete-Venezia", Corrado Augias nella Serenissima, 2019.

Sitografia:





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