martedì 19 ottobre 2021

LA PIETRA DI BOLOGNA

Museo Civico Medievale, via Manzoni, 4 - BOLOGNA 


Conosciuta anche come Enigma di Aelia Laelia Crispis, la Pietra di Bologna è una lapide funeraria con iscrizione latina, che per secoli ha interrogato fior di pensatori, maestri, letterati e a lungo considerato l’enigma per eccellenza.


La Pietra è conservata al Museo Civico Medievale, la sua storia è di lunga durata, complessa e forse risolta.
L’originale cinquecentesco andato perduto, fu sostituito nel Seicento con quello che vediamo oggi.


Sulla pietra è scritto:

«D M
Aelia Laelia Crispis, nec vir nec mulier, nec androgyna,
nec puella, nec iuvenis, nec anus,
nec casta, nec meretrix, nec pudica,
sed omnia.

Sublata neque fame, nec ferro, nec veneno,
sed omnibus.
Nec coelo, nec aquis, nec terris,
sed ubique iacet.

Lucius Agatho Priscius, nec maritus, nec amator, nec necessarius,
neque moerens, neque gaudens, neque flens, hanc neque molem, nec pyramidem, nec sepulchrum, sed omnia.

Scit et nescit (quid) cui posuerit»

(Hoc est sepulchrum, intus cadaver non habens. 
Hoc est cadaver, sepulchrum extra non habens. 
Sed cadaver idem est et sepulchrum sibi.)

Tra parentesi i tre versi finali che comparivano nella versione originale.


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Elia Lelia Crispide, né uomo né donna, né androgino né fanciulla, né giovane né vecchia, né casta né meretrice, né pudica, ma tutto ciò.
Morta non di fame, non di spada, non di veleno, ma tutto.

Portata via né da fame, né da spada, né da veleno, ma da tutto. Non riposa né in cielo, né nell’acqua, né in terra, ma ovunque.

Lucio Agatone Priscio, né marito né amante né congiunto, ne afflitto né lieto né in pianto, non ha edificato né questa mole, né una piramide, né un sepolcro, ma tutto.

Sa e non sa (che cosa) ha posto a chi.

(Questo è un sepolcro che non contiene alcun cadavere.
Questo è un cadavere che non ha sepolcro intorno a sé.
Ma cadavere e sepolcro sono la stessa cosa.)

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La sigla DM che si trova in testa, significa "Dis Manibus" (Agli Dei Inferi). Una sigla piuttosto usuale negli epitaffi antichi.

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LA COLLOCAZIONE DELLA PIETRA, LA SUA SCOPERTA, LA FAMA E L’OBLIO

In quell’area in cui oggi, fra via Ferrarese e via Stalingrado, vi è una zona militare recintata abbandonata, sorgevano diversi edifici, che avevano preso il nome di Casaralta:

-la chiesa dei Santi Pietro e Paolo e di Santa Maria Gloriosa
-alcuni edifici adiacenti la chiesa, di proprietà dei Frati Gaudenti, eretti nel XIII secolo come Priorato dell’Ordine Militare di Maria Gloriosa.

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STORIA BREVE DEI FRATI GAUDENTI

I Frati della Beata Gloriosa Vergine Maria, detti Frati Gaudenti erano un ordine militare e ospedaliero nato per garantire la pace fra le fazioni cittadine.

Sigillo di Frate Gaudente - ©sito Eremo di Ronzano



I membri dell'ordine erano reclutati tra l'aristocrazia, si obbligavano a condurre una vita esemplare mediante castità coniugale, obbedienza e protezione di orfani e vedove, impugnando armi contro la turbe della pace pubblica e l'ingiustizia.

I cavalieri si diffusero in diverse regioni, ma la sede principale rimase il Convento di Ronzano, a Bologna.


Il termine 'gaudenti' si riferiva al fatto che questi frati godevano della visione della Vergine Maria; tuttavia, il termine diede vita a scabrosi equivoci. 

A quei tempi erano nati pettegolezzi: il cronista Alberti scrisse che "quanto più cresceva la loro ricchezza, tanto più calava la loro devozione, tanto che col passar del tempo non facevano altro che godere degli opulenti benefici che avevano ottenuto nei tempi passati".¹

Per questo motivo il termine gaudente aveva assunto un altro significato, tanto che nel '500 l'Ordine a Bologna era ridotto alla commenda da parte di singole persone.
Si estinsero nel 1589 a Bologna e nel 1737 a Treviso. 

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LA STORIA DEL FABBRICATO DI CASARALTA
 (luogo dove la pietra è stata concepita)


-nel 1527 Achille Volta fu nominato Priore di Casaralta e Gran Maestro di quanto rimaneva dell’ordine ormai decaduto dei Frati Gaudenti. 

Sigillo di Priore dei Frati Gaudenti
©sito Eremo di Ronzano



Apparteneva ad una famiglia bolognese popolare, originaria della località Volta di Reno, fra Argelato e Castel d’Argile nella pianura bolognese, da cui aveva tratto il cognome.

Lo stemma dei Volta.



Il nostro Achille era stato immerso a Roma in un ambiente culturale e letterario.

Nel 1525 il Volta ferisce di pugnale Pietro Aretino, in virtù, sembrerebbe, del libero pensiero dello scrittore fiorentino che, con i suoi versi, bacchettava il clero.
Erano noti i costumi della famiglia Volta, incline alla vendetta personale, tanto che nel 1542 Achille e il fratello Marcantonio furono arrestati per l’omicidio di Aldreghetto Lambertini.

Negli ambienti clericali Pietro Aretino era malvisto, odiato, per cui nel 1527 Clemente VII gratificò Achille Volta di questa nomina, nonostante l’Ordine dei Gaudenti era praticamente ridotto al nulla.




Nel 1550 il complesso di Casaralta diventò una commenda e fu assegnato ad Achille Volta, che lo ampliò, costruendo la propria villa annessa alla chiesa.


Ne arricchì gli interni con particolari stravaganti. 
Nel salone principale un caminetto con le fattezze di un'enorme mascherone: 
la bocca, larga tre metri e due di altezza, costituiva l'apertura, i denti erano disposti nel contorno interno; la parte superiore del volto, la capigliatura e le orecchie ornavano la cappa, i baffi i due lati.

In un’altra stanza, al centro del soffitto era dipinto un uomo giacente su un letto con una cornucopia nella mano destra.

Dipinto su una volta in mezzo ad arabeschi, un uomo barbuto, nudo fino al ventre, il resto del corpo coperto da un mantello giallo, un papavero in mano che lo identificava probabilmente a Morfeo.

Un rinoceronte con il motto in lingua spagnola: NO VUELO SIN VENCER, "non volo senza vincere". I frati erano sì gaudenti, ma costituivano pur sempre una milizia. 

La villa aveva un portico, l’orto e un giardino con fontane, per accogliere e divagare i visitatori.

L’antico e cadente possedimento dei Gaudenti fu trasformato in una deliziosa dimora di campagna, dove il titolare poteva soggiornare e ricevere i suoi colti amici con i quali trascorrere ore liete, passeggiando e conversando amabilmente, provocando gli ospiti con curiosità di tipo letterario-umanistico, con varie iscrizioni poste lungo il percorso nel giardino e negli orti.

I particolari descritti dimostrano che il testo dell’iscrizione della Pietra potrebbe essere stato concepito in questo clima da cenacolo umanistico, vicino al mistero, all'allegoria e all'esoterismo. 


-nel 1556 Achille Volta morì, ucciso da Orazio Bargellini e, coincidenza, pochi mesi dopo lo seguì nella tomba l’Aretino. 
Pare che i due si fossero riconciliati, come si ha da una lettera dell’Aretino del 1550.

-nel 1589 Sisto V, creò qui un alloggio per scolari marchigiani che frequentavano l'Università di Bologna
(Sisto V era colui che aveva fondato il Collegio Montalto in via San Mamolo, che diventerà Collegio San Luigi).

-nel 1610 la famiglia Volta aspirava a recuperare i beni. La Curia Arcivescovile vendette ai Volta la villa e parte del terreno (non la chiesa).

-il proprietario divenne Astorre Volta, che morì nel 1627.

-dal 1627 al 1676 viene incaricato senatore suo figlio Achille. 
Achille Volta, omonimo del suo antenato che probabilmente aveva commissionato la Pietra, ne fece ricopiare il testo - ormai illeggibile - su una nuova lastra di marmo rosso.
 Questa copia è la "Pietra di Bologna" oggi visibile. 


-nel 1695 Achille Vincenzo, ultimo della famiglia Volta, affittò il fabbricato ai Padri Somaschi per tre anni.

Albero genealogico della famiglia Volta di Bologna - ©tratto dal libro "Aelia Laelia", a cura di Nicola Muschitiello.


-nel 1697 vendette a Giovanni Francia.

-nel 1732 Giuseppe Antonio e Giovanni Paolo, figli del Francia, affittarono al marchese Giovanni Bolognini.

-nel 1740 vendettero al Seminario di Bologna, che ne fece un soggiorno estivo per seminaristi.

Prospetto della villa di Casaralta in un disegno del 1736
(Archivio del Seminario).
La villa era posta sulla Strada Maestra della Mascarella.


-nel 1876 gli edifici dell'ex Seminario vennero trasformati in stabilimento militare (lì fu confinata la Pietra).

-nel 1885 chiesa e campanile crollarono.

-nel 1940 il complesso era diventato un importante deposito di derrate alimentari (Caserma Sani).
 Nello specifico: "carnificio", con tecniche di macellazione, cottura e inscatolamento di carni bovine per le truppe militari al fronte.

Pietra_di_Bologna_mappatura_Monica_Galeotti
©Google Earth - ©mappatura Monica Galeotti

-nel 1943 subì bombardamenti e devastazioni. 
Non travolta dal crollo, la Pietra sfuggì anche ai bombardamenti. 

Da un articolo del giornale dell’Emilia, 25 maggio 1947:
"Aelia Laelia Crispis… si è salvata a stento dai furiosi bombardamenti che hanno sconvolto la zona settentrionale di Bologna.
L’abbiamo vista relegata in compagnia di prosaici bidoni, in uno stanzone lesionato che già appartenne al misterioso edificio in cui venne alla luce ancora fra rovine, muri pericolanti…”

In seguito gli edifici tornarono ad essere caserma-deposito militare. 

-nel 1956 la Pietra fu accolta nel Museo Civico e divenne parte del Lapidario Medievale, poi nel tempo relegata nel deposito. 

-Nicola Muschitiello, curatore del testo cui sto facendo riferimento come fonte principale, scrittore ma anche appassionato ricercatore, agli inizi degli anni '80, la trova per terra, semicoperta da un lenzuolo. 

Insieme ad altri interessati, come Renzo Grandi e Carla Bernardini, propone il suo restauro. 
Nel 1988 la Pietra viene sottoposta ad un’analisi autoptica nel deposito-laboratorio comunale di via del Pratello, 23/2 e ad un restauro da parte della Cooperativa Restauro e Conservazione di Imola.

Infine la definitiva collocazione nel Lapidario del Museo Civico Medievale nell’estate del 1988, assieme ad un'altra più piccola che ne ricorda la trascrizione, opera del senatore Volta.

Purtroppo il Lapidario non è accessibile, se non in occasione di visite guidate.

Gli stabilimenti militari invece, dal 2007 passati al Demanio pubblico, sono a progetto per ospitare in futuro abitazioni, attività commerciali, spazi culturali e ostelli in un progetto di riqualificazione della ex struttura militare in rovina.

ex Caserma Sani - ©foto ZERO.eu Bologna




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LA SCOPERTA 

Nel 1567 per la prima volta in assoluto le fonti hanno la testimonianza dell’esistenza della Pietra.
Lo dobbiamo all’erudito belga Jan Van Torre, che in quell’anno, ospite della villa, nota su una parete della chiesa la misteriosa lapide e cita il testo in una lettera indirizzata a un collega inglese. 
Fu il primo a precisare dove la pietra si trovava. 

Da allora l’iscrizione è stata annotata spesso nei diari di viaggio o nella corrispondenza degli ospiti dei Volta. 

Non solo: 
sul significato del testo della lapide vengono stesi testi, libri, ricerche, da parte di numerosi studiosi e letterati. 





INTERPRETAZIONI

Nel libro "Aelia Laelia. Il mistero della Pietra di Bologna", a cura di Nicola Muschitiello, viene stilata la bibliografia compilata da Maria Luisa Belleli, che vede 152 opere che trattano l'argomento. 
Sono esclusi articoli e recensioni.

Di seguito le principali:

-1567 Per la prima volta l’esistenza della Pietra è testimoniata da Jan Van Torre che ne scrive attraverso lettere.


-1568 Richard White, "Niobe". 
Egli ritiene che Elia Lelia rappresenti una "Niobe trasformata", rimandando al seguente epigramma attribuito allo storico bizantino Agazia Scolastico, poi latinizzato un millennio dopo, da Poliziano:
"Questa tomba non ha dentro alcuna salma.
Questa salma non ha fuori alcuna tomba,
ma è essa stessa salma e tomba."


-1683 Carlo Cesare Malvasia, "Aelia Laelia Crispis Non Nata Resurgens", in latino. 
Oltre a proporsi lo scioglimento del mistero, descrive bene la Villa di Achille Volta. 
Il Malvasia, molto noto negli ambienti colti dell’epoca, riceveva amici e studiosi nella sua casa di campagna "Villa Malvasia", a Trebbo di Reno, oggi chiamata anche "Villa Clara" per via di una credenza popolare secondo cui fra le mura vagherebbe uno spirito. 

Il testo della Pietra di Bologna che compare nel frontespizio
 del libro di Cesare Malvasia.
Il testo è incorniciato da 11 spiegazioni,
 proposte da altrettanti autori.


-1667 Ulisse Aldrovandi, "Dendrologiae naturalis scilicet arborum historiae libri duo".
Sostiene la tesi della Ninfa delle Querce nell’agro suburbano di Bologna (archetipo femminile).
Inoltre che via Mascarella significa "via della maschera di Aelia". 


-1803-1812 Clemens Brentano, "Romanzen vom Rosenkranz", poema interrotto (religioso apocrifo).
Nella quartina della 18ª romanza appare Aelia Laelia Crispis. 


-1816 Walter Scott, "The Antiquary".


-1838 Carlo Pancaldi, "Osservazioni intorno gl’interpretamenti allo enigma Aelia Laelia Crispis". 


-1840 Marcellino Sibaud, tesi di via Mascarella già descritta da Aldrovandi. 


-1853 Gerard de Nerval, "Pandora", novella. 
-1853 Gerard de Nerval, "Le Comte de Saint-Germain", abbozzo di novella. 



-1955 Giuseppe Raimondi, il racconto "Elio Lelio Crispo" chiude la raccolta "Mignon".


-1955 Gustav Jung, "Mysterium Coniunctionis", primo capitolo I Paradossi, terzo paragrafo intitolato L’enigma bolognese. 
Riprende la tesi di Aldrovandi con l’immagine dell’immortale, incertissima amata.


-1987 Andrè Pieyre de Mandiargues, "Tout Disparaitra", romanzo in cui si fa cenno dell’enigma della Pietra. 


Nell’ambito di "Bologna 2000" è nato il volume "Aelia Laelia. Un mistero di pietra", una raccolta di 11 racconti gialli scritti da Giuseppe Pederiali, Danila Comastri Montanari, Massimo Manfredi, e altri. 
Gialli storici e metafisici, dove la pietra è il simbolo da cui si dipanano, attraverso le indagini, riflessioni sulla vita.

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LA PIETRA DI BOLOGNA OGGI

Si è visto come tanti pensatori e letterati hanno trovato la Pietra interessante, tanto da studiarla.
Raramente qualche esperto aveva sottovalutato il reperto, come Jacob Spon che, nel suo "Voyage d’Italie" (1678), dichiarava l’epitaffio non appartenente alla latinità e si faceva beffe di coloro che prendevano sul serio "tali inezie". Ma si trattava di casi isolati, il mondo della cultura studiava seriamente il caso della Pietra. 


Il più recente e copioso studio sulle interpretazioni dell’epigrafe è di Maria Luisa Belleli, "Aelia Laelia in Gerard de Nerval, Pandora, les amours de Vienne", 1975.
A lei si deve il merito di un tracciamento chiaro di un quadro molto complesso di interpretazioni, di denunciare errori e confusioni, svolgendo ricerche nelle biblioteche di Bologna, Firenze, Milano, Padova, Venezia e altri Istituti. 


Oggi all’unanimità Aelia Laelia sembra definitivamente considerata a tutti gli effetti una falsa iscrizione funeraria dedicata da un uomo che si nascose dietro allo pseudonimo di Lucius Agatho Priscius a una misteriosa donna chiamata Aelia Laelia Crispis.

Un inganno da parte del senatore Achille Volta nel volerlo far passare per una trascrizione da un testo dell’antichità latina, per stuzzicare la mente degli eruditi 'pedanti', con un significato attinente ai misteri che i Frati Gaudenti coltivavano. 

Insomma uno scherzo, un’invenzione fatta per gioco, per mistificazione erudita, spleen esoterico per imbizzarrire la mente.

L’epigrafe Aelia Laelia, secondo Mario Santi, potrebbe essere così interpretata:
"È un discorso che non racchiude alcun significato, questo è un significato che non ha apparenza nel discorso, tuttavia il significato c’è e sta appunto nel discorso"; un’iscrizione senza alcun senso logico, dove il senso sta nella sua illogicità e consiste nel fare inutilmente lambiccare il cervello del lettore, cioè beffarsi di lui.

Neanche il suo erudito ideatore avrebbe mai pensato della capacità di risonanza e dell’incredibile fama europea che avrebbe ricevuto nei secoli:
 un semplice scherzo da giardino.
 
Lo scopo è stato ampiamente raggiunto.


Pietra_di_Bologna_FOTO_Monica_Galeotti









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Bibliografia:
-Nicola Muschitiello, "Aelia Laelia. Il mistero della Pietra di Bologna", ed. Il Mulino, Bologna 2000 Città Europea della Cultura.


Sitografia:






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