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lunedì 16 giugno 2025

BIBLIOTECA PANIZZI A REGGIO EMILIA

 via Farini, 3

La Biblioteca Panizzi è la biblioteca pubblica della città, ospitata nell'ex collegio gesuitico di San Giorgio, come testimonia la presenza della chiesa omonima che si trova proprio di fronte, nella stessa via Farini.

La chiesa di San Giorgio esisteva già nel secolo XII (citata per la prima volta nel 1146).

Quando i Gesuiti arrivarono a Reggio Emilia, nel 1610, presero in carico la chiesa esistente.

Dal 1701 al 1720 costruirono il collegio, che divenne il loro centro istituzionale.

Nel clima rivoluzionario seguito alla proclamazione della Repubblica Reggiana (1796), il palazzo San Giorgio cambiò funzione e, nel 1798, ospitò la prima biblioteca pubblica cittadina.

All’inizio del Novecento vi si affiancò una biblioteca popolare, pensata per il ceto operaio.

Le due realtà — la municipale e la popolare — vennero unificate nel 1975, dando vita all’Istituzione Biblioteca intitolata ad Antonio Panizzi, grande bibliotecario e patriota reggiano.

Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia, centro culturale cittadino.


Il collegio di San Giorgio divenne presto una rinomata scuola gesuitica, tra le poche che applicavano con rigore la Ratio Studiorum, il canone degli studi fondato in gran parte sulle arti retoriche.

Questo spiega – quasi geneticamente – la presenza dei libri in questo luogo, che oggi ospita non solo una delle biblioteche più grandi d’Italia per quantità, ma anche una delle più straordinarie per bellezza e valore culturale.

Facciata della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.

Come racconta Massimo Raffaeli su Radio 3: "In un Paese dove le statistiche sulla lettura sono spesso scoraggianti, la Biblioteca Panizzi rappresenta un vero e proprio caso unico: è una grande biblioteca di pubblica lettura – una public library, come si direbbe nel mondo anglosassone – e allo stesso tempo un luogo di conservazione, che custodisce fondi di valore inestimabile.

Una postilla doverosa: Reggio Emilia è una città spesso sottovalutata per la ricchezza delle sue bellezze, e il suo centro storico riserva sorprese preziose.

La Biblioteca Panizzi è una di queste.

Intitolata ad Antonio Panizzi, reggiano originario di Brescello, figura straordinaria.

Panizzi, patriota e mazziniano, fuggì dalla Restaurazione e si trasferì a Londra. Lì, dopo aver insegnato e frequentato l’ambiente degli esuli italiani, fu nominato prima funzionario e poi direttore del British Museum, dove progettò la celebre Reading Room, la sala di lettura dalla cupola luminosa, dove hanno studiato personaggi leggendari – tra cui Karl Marx, che lì scrisse le pagine de Il Capitale.

Panizzi è uno di quei paradossi italiani: celebre e celebrato nel mondo anglosassone, ma poco conosciuto nel suo Paese d’origine".


PIANO TERRA

Le sezioni dedicate alle varie categorie — narrativa, ragazzi, musica e spettacolo, giornali, libri antichi e moderni, fondi — girano intorno al cortile interno, un tempo coltivato a orto, e si articolano su tre piani.

Cortile interno della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia, spazio silenzioso.

Per maggiore chiarezza, allego la mappa dei piani, che viene gentilmente offerta all’ingresso.

Qui al piano terra si trovano un’importante sezione ragazzi e una delle emeroteche (raccolta di giornali e periodici) più fornite.

Pianta piano terreno della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.



Emeroteca della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.
L'emeroteca al piano terra – foto Barbara Pantani.


PRIMO PIANO

Pianta primo piano della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.


SALA SOL LEWITT

Questa sala dal 1887 al 1970 ha ospitato l'Archivio di Stato di Reggio Emilia.

Oggi è il cuore moderno della biblioteca.

Sal Sol LeWitt della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.

Recentemente restaurata, diventata grande sala di lettura pubblica, è ispirata alle grandi biblioteche europee: luoghi in cui le sale di lettura sono impreziosite da ballatoi, che un tempo consentivano l'accesso alle scaffalature dell'Archivio di Stato.

È un ambiente classico e contemporaneo insieme, con i tradizionali banchi in legno, le lampade da studio e 65 postazioni per i computer.

I ballatoi della Sala Sol LeWitt  nella Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.



Ecco lo screenshot da un video della Biblioteca Panizzi: si vede l'ex Archivio di Stato, con i ballatoi su cui erano conservati i documenti.

Screenshot da "Sol LeWitt - Biblioteca Panizzi", YouTube.


A rendere ancora più suggestivo lo spazio, c’è un’opera del 2004 dell’artista americano Sol LeWitt, "Whirls and Twirls 1" (Vortici e Mulinelli 1): una decorazione murale ondulata e policroma, dipinta con colori acrilici, che risalta sul bianco circostante e dona una luce nuova alla sala.

È uno dei suoi Wall Drawing (Disegni a muro), disegni amplificati a dimensione di ambiente.

Sala Sol LeWitt della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.


Nel video seguente, pubblicato su YouTube dalla Biblioteca Panizzi, viene illustrata la complessa realizzazione dell'opera.



I libri sono tantissimi, la raccolta è una delle più vaste d'Italia: il patrimonio librario supera le 850.000 unità, e cresce continuamente grazie a nuove acquisizioni e donazioni.

La Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia è un esempio unico in Italia per come unisce la funzione di biblioteca pubblica a quella di conservazione.

 Ciò che colpisce infatti è che una parte significativa di questo patrimonio è accessibile a scaffale aperto: uscendo da questa sala di lettura, si può passare dalla Treccani ai grandi classici della narrativa, la saggistica, i manuali.

Una scelta non banale, che rende questa biblioteca profondamente pubblica, aperta, viva.

Scaffali aperti al piano terreno della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.

La biblioteca affonda le radici nella storia civile della città. Reggio Emilia, città del Tricolore, è anche la città più francese e "giacobina" d’Italia.

Tra il 1796 e il 1798, con le soppressioni napoleoniche, molti beni dei conventi furono messi all’asta; durante la Restaurazione, parte di questi fondi librari tornò agli ordini religiosi, per poi essere definitivamente acquisita dallo Stato dopo l’Unità d’Italia.

È da quel momento che nasce la biblioteca come bene pubblico: sulla facciata della Panizzi compare ancora oggi l’iscrizione "Biblioteca popolare".

Già nel 1910 si profilava l’idea di una public library, cioè di un luogo accessibile anche ai frequentatori occasionali, non solo a studiosi o professionisti.

Oggi la Panizzi è al centro di un sistema bibliotecario diffuso sul territorio, e rappresenta perfettamente una vocazione civica profondamente radicata in questa città. Una vocazione che si riflette nella storia di figure come Camillo Prampolini, esponente dell’umanesimo socialista cristiano, o Giuseppe Dossetti, che a Reggio si è formato, incarnando un cattolicesimo attento alle esigenze della società.

E come non citare Loris Malaguzzi e l’esperienza dei nidi e delle scuole dell’infanzia, che fin dagli anni Settanta hanno portato il nome di Reggio Emilia nel mondo.

La Biblioteca Panizzi è una punta di diamante di questo sistema integrato, esempio raro di civismo attivo e partecipato, che in Italia resta purtroppo ancora un’eccezione.

Tornando alle opere a scaffale aperto, sono disposte secondo il sistema decimale, a partire dalla sezione 000.

L'ambiente è frequentato soprattutto da giovani, che la vivono con rispetto e naturalezza, come uno spazio proprio.

I numeri sono sorprendenti: circa 1.500 utenti al giorno, oltre 800.000 all’anno (dato del 2018).

Già negli anni '80, la Panizzi mostrava un'immagine europea: rastrelliere piene di biciclette e una biblioteca vissuta come luogo quotidiano di civiltà.


SECONDO PIANO

La Biblioteca Panizzi è così fortemente identificata come luogo civico, che a volte ci si dimentica che è anche una grande biblioteca di conservazione.

Al secondo piano si trova appunto la sezione di conservazione e storia locale, il planisfero e gli uffici della direzione.

Custodisce circa 9.000 incunaboli e cinquecentine, 40.000 stampe, codici miniati e rari manoscritti, come un trattato attribuito a Piero della Francesca.

Conserva fondi legati ai poeti Matteo Maria Boiardo, originario di Scandiano, e Ludovico Ariosto, nato a pochi chilometri da Reggio Emilia.

Ai fondi antichi si affiancano quelli dei moderni autori reggiani, come Silvio D’Arzo (pseudonimo di Ezio Comparoni), scrittore di rara sensibilità, di cui si conserva l'archivio grazie allo studioso Rodolfo Macchioni Jodi.

Anche Gianni Celati, legato a queste terre, sebbene nato altrove, ha donato parte del suo archivio.

Celati ha avuto due fasi nella sua scrittura: una giovanile e visionaria, e una più contemplativa, legata al paesaggio padano. Opere come Narratori delle pianure o Verso la foce raccontano proprio i luoghi tra Reggio Emilia e il delta del Po: terre poco note, mai ostentate, da scoprire con lentezza — proprio come questa biblioteca e la città che la ospita.

Tra i fondi moderni spicca quello ricchissimo di Cesare Zavattini, poliedrico intellettuale: scrittore, sceneggiatore di De Sica, organizzatore instancabile di cultura e iniziative.

Il suo archivio, ancora in fase di catalogazione, testimonia i suoi numerosi contatti, con protagonisti della cultura italiana e internazionale.

La Panizzi conserva anche importanti fondi fotografici. Due nomi su tutti:

  • Stanislao Farri, che ha ritratto con rigore la Reggio del Novecento;
  • Luigi Ghirri, maestro della fotografia italiana, capace di cogliere la bellezza discreta e silenziosa del paesaggio emiliano.
Fondo fotografico Luigi Ghirri - ©biblioteca Panizzi


Nell'immagine seguente, i mobili schedari con cassetti numerati contengono il catalogo cartaceo storico della biblioteca, utilizzato prima della digitalizzazione.

Lo schedario permette ancora oggi di consultare il patrimonio librario e periodico acquisito fino al 1930, spesso non presente nel catalogo online.

È parte integrante della sezione di conservazione.

Gli schedari al secondo piano della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.



I vecchi schedari della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.



SALA DEL PLANISFERO

Il lungo corridoio, sede originaria della biblioteca fin dal 1796, prende il nome oggi di Sala del Planisfero, dal grande planisfero che domina l'ingresso.

Vi si tengono anche iniziative culturali.

La sala del Planisfero della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.


Il planisfero è opera di Evangelista Azzi (1793 - 1848), topografo parmense e docente al collegio militare.

Il Planisfero della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.



Con il secondo piano e la Sala del Planisfero, si conclude il percorso nel palazzo.


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NOTE:

-L'itinerario descritto è stato effettuato il 9 febbraio 2025.

-Tutte le foto sono di Monica Galeotti, eccetto la foto del Fondo fotografico di Luigi Ghirri (copyright indicato) e di una foto che mi ritrae, scattata da Barbara Pantani.

-La biblioteca è aperta sei giorni su sette, con orari prolungati fino alle 22 nella bella stagione.

Gli oari della Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia.



RIFERIMENTI:


Libri:
-Emilia Romagna, Touring Editore, 2010, pag 111.


Siti Web:
-bibliotecapanizzi.it


Videografia:
-"Sol LeWitt - Whirls and Twirls 1", Biblioteca Panizzi Reggio Emilia, YouTube, 24 agosto 2023.


Podcast:
-"Biblioteca Panizzi a Reggio Emilia raccontata da Massimo Raffaeli", programma "Le Meraviglie", Radio 3, 28 marzo 2020.



domenica 1 ottobre 2023

MOENA

VAL DI FASSA




Moena_foto_Monica_Galeotti



Fra le vette maestose e i boschi secolari, si nasconde Moena, una gemma incastonata esattamente al confine fra le valli di Fiemme e Fassa.


Dal punto di vista geografico è posizionata alla base della Val di Fassa, di cui è parte integrante, e lo é anche dal punto di vista linguistico: è uno dei 18 comuni che formano la Ladinia. 


Mantiene comunque legami profondi anche con la Val di Fiemme, essendo uno degli 11 comuni che compongono la Magnifica Comunità. 

Trovandosi alla base della Val di Fassa, è collocata prima che il torrente Avisio inizi il suo percorso vallivo verso la Val di Fiemme. Qui, nel cuore del paese, il corso d'acqua accoglie le acque del Rio San Pellegrino e del Rio Costalunga, provenienti dai passi omonimi.

Moena_mappatura_monica_galeotti
©google earth - ©mappatura Monica Galeotti




ORIGINI DEL NOME

Il nome del comune, precedentemente noto come Moyena, deriva dal termine "moena" o "molena", che si trova nei dialetti veneti e ladini, equivalente all'italiano "mollica". Questo termine è riconducibile al latino "mollis", che significa "molle", in questo caso indica un terreno umido e acquitrinoso, quale era questa zona, vulnerabile alle acque dei suoi affluenti.
Si narra che la conca fosse occupata da un autentico lago, ma i primi abitanti lo prosciugarono per convertirlo in terreni coltivabili.
L'unica traccia rimasta di questo lago è rappresentata dallo stemma comunale, che raffigura un barcaiolo.



STORIA

La storia di Moena è legata a quella delle valli che la circondano.

Affonda le sue radici nel lontano 1025, l'anno in cui fu edificata la sua più antica chiesa.

A partire dal 1318, divenne parte della Magnifica Comunità di Fiemme.

Fino al 1805 la zona era governata dal Principato Vescovile di Trento.
Dopo questa data le guerre napoleoniche determinarono una secolarizzazione dell’influenza religiosa e politica del vescovado.

Tra il 1805 e il 1810, Moena e la Val di Fassa furono annesse al Regno di Baviera come parte dei cambiamenti territoriali imposti dalle guerre napoleoniche. Durante questo periodo, la regione fu sottoposta alle leggi e all'amministrazione bavaresi.

Nel 1809 ci fu un’insurrezione contro il dominio bavarese e francese. 
Andreas Hofer, un patriota tirolese, guidò la resistenza e cercò di liberare la regione. Anche alcune aree della Val di Fassa parteciparono a questa insurrezione.

Dopo la caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna del 1814-1815 ridefinì le frontiere dell'Europa. Come risultato di questi negoziati, l'intero Tirolo, comprese Moena e la Val di Fassa, fu assegnato all'Impero Austriaco.

Come le zone circostanti, fu coinvolta nei conflitti della Prima Guerra Mondiale. 
Il fronte attraversava la Val di Fassa e la valle San Pellegrino, in particolare nella zona di Costabella (vedi Passo delle Selle a piè di pagina) e di Cima Bocche.
Ancora oggi si possono trovare testimonianze di quegli eventi tragici. 

Con l'arrivo delle truppe italiane, Moena e l'intero Trentino, passarono sotto il Regno d'Italia. 
Nel 1919 il Trattato di Saint-Germain-en-Laye segnò la fine della dominazione austro-ungarica nella regione.

Questo portò a una diminuzione dell'autonomia e dell'identità storica della zona, con la frammentazione dell'area culturale ladina in diverse entità amministrative.

Dal secondo dopoguerra in avanti, con la creazione della regione autonoma Trentino-Alto Adige, del distretto Ladino di Fassa e, più recentemente della Comunità di Valle, l'identità locale è stata nuovamente preservata e protetta.


IL PERCORSO:

1- PIAZZA RAMON
2- RIONE TURCHIA
3- CHIESA DI SAN VIGILIO
4- CHIESA DI SAN VOLFANGO

Moena_mappa_Monica_Galeotti
©google earth - ©mappatura Monica Galeotti





1- PIAZZA RAMON

Piazza Ramon costituisce il cuore di Moena, un elegante centro pedonale che ospita una varietà di negozi e attività turistiche, oltre a conservare edifici storici di montagna.

Moena_foto_Monica_Galeotti





Moena_foto_Monica_Galeotti




2- RIONE TURCHIA

Il nome di questo quartiere non ha nulla a che fare con la presenza di turchi, ma deriva da un'antica leggenda.
Secondo la tradizione, alla fine del XVII secolo, dopo l'assedio di Vienna, un soldato dell'esercito ottomano giunse ferito a Moena e ricevette qui tutte le cure necessarie fino a guarire completamente.
In segno di riconoscenza e perchè si sentiva a suo agio, il soldato decise di stabilirsi permanentemente in città.

In realtà il nome "turchia" sembra avere origini legate alla presenza di torchi per la lavorazione della canapa.

Oggi cosa si può vedere in questo rione?
Durante l'estate, l'associazione Grop di Turchia organizza una festa a cui partecipano gli abitanti del quartiere e la comunità immigrata.
Un evento che rappresenta un'occasione per riunirsi, celebrare i mestieri tradizionali del passato e gustare i prodotti locali e non solo.

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La Fontana dei Turchi, al centro del rione.




Si inserisce nella parte più antica di Moena, dove spiccano gli edifici in legno utilizzati come stalle o depositi di fieno, noti in ladino come "tabià".

Moena_foto_Monica_Galeotti
Tabià Copeto




La stragrande maggioranza di questi edifici risale  al 1500 e 1600, e alcuni di essi vengono aperti al pubblico in occasione della festa, permettendo così di visitarli anche internamente.

Moena_foto_Monica_Galeotti




Scopro una vecchia bottega di un artigiano (Neno), che espone un presepe insolito, realizzato con una bomba della Prima Guerra Mondiale, ritrovata lungo il fronte di battaglia Cima Bocche - Laghi di Lusia.
Questo bel presepe, oltre ad essere un'opera d'arte, trasmette un profondo messaggio di pace e speranza.

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3- CHIESA DI SAN VIGILIO

Costruita su una collinetta, la chiesa domina l'abitato di Moena. 

Moena_foto_Monica_Galeotti


Originariamente consacrata nel lontano 1164, fu poi ristrutturata in stile gotico nel 1533.

Tuttavia, l'aspetto attuale della chiesa risale al 1929, grazie al progetto dell'architetto Giovanni Tiella di Rovereto. Questo intervento ha conservato la parte gotica originale e la primitiva abside, che oggi costituiscono il presbiterio della chiesa.

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Tanto dall'interno che dall'esterno, è possibile ammirare l'antica abside gotica e la nuova costruzione articolata in una serie di cappelle laterali con archi a tutto sesto, creando un mix affascinante di stili architettonici.

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4- CHIESA DI SAN VOLFANGO

Rappresenta la più antica testimonianza religiosa di Moena, essendo stata eretta nel lontano 1025. Questa antica chiesa è dedicata al santo patrono dei falegnami e dei boscaioli, e sorge su un sito che un tempo era consacrato al culto pagano.

Il suo stile architettonico è romanico e si erge con dignità a fianco della più nota Chiesa di San Vigilio, formando così un suggestivo complesso religioso che testimonia la profonda storia del luogo.


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Davanti alle due chiese il Monumento ai Caduti di Moena, a ricordo e riconoscenza per tutti i combattenti e le vittime che, durante la Prima Guerra Mondiale, sacrificarono le loro vite.

Quest'area conservava le salme durante la guerra.

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Sitografia: