lunedì 3 luglio 2023

GALLERIA BORGHESE

 Piazzale Scipione Borghese - ROMA

(torna al Parco di Villa Borghese)


Si tratta senz’altro della più bella collezione privata d’arte di Roma, è stata addirittura definita la più bella galleria del mondo.


Il gusto del cardinale Scipione Borghese, il più esperto e spregiudicato collezionista d’arte del suo tempo, ha generato una raccolta straordinaria con opere di Bernini, Canova, Caravaggio e Raffaello.


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FACCIATA
La villa, progettata nel 1607, trae ispirazione, come stile architettonico, da Villa Medici e da Villa della Farnesina, con un portico che si apre sui giardini.

Le numerose finestre e la collocazione delle stanze sono state progettate per definire al massimo la visione delle opere d’arte.

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Fu poi decorata nello stile del 1500, con una facciata impreziosita da 144 bassorilievi e 70 busti.
Ai tempi di Scipione infatti la scultura classica impreziosiva anche i viali del parco e la facciata, come documenta una tempera all'ingresso della Pinacoteca, di Abraham Von Cuylenborch, del 1636.

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I GIARDINI SEGRETI, così chiamati perchè un tempo nascosti da un alto muro, sono prolungati ai due lati della villa.
Vi si coltivavano fiori rari ed esotici, in particolare bulbacee, in ossequio alla "tulipomania" seicentesca, quando si realizzavano collezioni di tulipani provenienti da tutta Europa.
Erano considerate "stanze all'aperto", con un ruolo decorativo ed espositivo.

©google earth - ©screenshot e didascalie Monica Galeotti







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STORIA
Alla fine del 1500 i Borghese erano una ricca famiglia di Siena.
Quando Camillo Borghese fu eletto Papa nel 1605 con il nome di Paolo V, la famiglia divenne molto influente nell’aristocrazia romana. 
Il giorno successivo all’elezione il pontefice cedette al cardinal nepote (Scipione) la "vigna vecchia al muro torto", un gigantesco parco.
Si diede inizio alla costruzione della villa con gli architetti di famiglia: Flaminio Ponzio, poi Vasanzio e Girolamo Rainaldi.
Era stata pensata da subito come luogo deputato ai piaceri, alla pura gioia dei sensi, quindi non luogo di residenza, ma dimora di strepitose collezioni.

Nel 1613 la collezione di Scipione venne trasferita dal Palazzo Dal Borgo di Firenze alla nuova villa edificata a Roma.
Verranno aggiunti in breve tempo centinaia di statue antiche e opere dei suoi contemporanei che commissionava, come Gian Lorenzo Bernini.
Alla contemplazione delle sue opere univa il piacere delle feste, all’insegna di un fasto paragonabile a quello dell’antica Roma.
L’ambasciatore veneziano a Roma descrive Scipione come "di bella presenza, cortese e benigno, rende ciascuno soddisfatto almeno di belle parole".
È un ritratto non del tutto positivo: il diplomatico sottolinea la "mediocrità del suo sapere e la vita molto dedita a piaceri e passatempi".
E il passatempo preferito di quest’uomo, robusto e all’apparenza bonario, era collezionare opere d’arte, una passione che lo portò ad eliminare ogni ambizione politica.
Amava talmente l’arte che rinunciò alle eredità dei suoi parenti, pretendendo in cambio tutti i quadri appesi nei loro palazzi.

Scrive Biba Marsano sulla rivista Meridiani: "Scipione Borghese? Un prepotente, un ladrone, un farabutto. Un cardinale forse senza Dio. Di certo, un collezionista senza scrupoli. Amò l’arte al punto da non esitare a diventare criminale per possederla. E le sue appropriazioni, criticate in tutta Roma, si traducevano spesso in spregiudicate azioni di intimidazione, di sopruso, di vera violenza. 
Come nel caso del Domenichino, che scontò con la galera il rifiuto a consegnargli la Caccia di Diana, eseguita per un altro cardinale, Pietro Aldobrandini.

Scipione si muoveva arrogante e libero, sicuro dell’impunità di cui godeva per essere il nipote prediletto di Papa Paolo V, che si rese più volte suo complice e fu sempre prodigo nell'elargizione di opere, anche di quelle di proprietà del Quirinale, allora residenza papale.
Così, fra una ruberia e un dono, un lascito e un acquisto, agli inizi del Seicento, Scipione si trova in possesso di una raccolta strepitosa."

Alla fine del Settecento la collezione si trovava enormemente arricchita di nuovi capolavori con Marcantonio IV Borghese.
Egli rinnova l’edificio incaricando l’architetto Antonio Asprucci a modificare gli arredi in stile neoclassico, donando alla villa l’aspetto che ha oggi.

Un brutto colpo alla collezione fu inferto da Camillo, figlio di Marcantonio e marito di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone.
Nel 1807 vendette al cognato 344 pezzi della collezione archeologica: oggi costituiscono il Fondo Borghese nella sessione di antichità classiche al Louvre.
Per questa vendita Napoleone promise 13 milioni di franchi, mai versata. Fu parzialmente coperta dalla cessione di un feudo in Piemonte.
Riportare in Italia le opere perse non è stato mai possibile per via di un regolare contratto di vendita.
Camillo compensò il danno subito con una lunga serie di acquisti, ma il suo nome resta principalmente legato ad un avvenimento diventato famoso: commissionò ad Antonio Canova il ritratto di Paolina, sua moglie, come Venere Vincitrice, capolavoro assoluto dello stile neoclassico.

Nel 1902 lo Stato italiano acquista la villa e le sue collezioni d’arte.
L’anno seguente il parco viene ceduto al Comune di Roma, mentre la villa rimane al demanio e trasformata in un museo.

Chiusa per problemi statici nel 1984, è stata restaurata e riaperta nel 1997, anno in cui il pubblico ha potuto accedere alla collezione.


IL MUSEO
La villa è divisa in due parti:
- al PIANTERRENO le sculture
- al PRIMO PIANO la Pinacoteca


L’accesso alla biglietteria (e al bar per un caffè), è nel seminterrato, attraverso lo scalone davanti alla facciata della villa.
Si entra ad intervalli di due ore, con prenotazione obbligatoria online con data e ora della visita.
Meglio prenotare con largo anticipo.  
Serve un po’ di organizzazione ma ne vale la pena.

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Entro al museo e alla galleria inserendo i capolavori più importanti.



PIANTERRENO (8 sale)



SALA IV - DEGLI IMPERATORI
Il percorso al museo inizia salendo dal piano interrato al pianterreno, direttamente alla sala IV per stupire lo spettatore: è la più ampia, decorata e spettacolare sala della villa.

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Questo ambiente maestoso era usato dal cardinale per feste e banchetti.
Il suo aspetto attuale si deve invece all’arredo di marmi, mosaici e stucchi realizzato da Antonio Asprucci alla fine del Settecento, quando intorno alle pareti furono collocati 18 busti che raffigurano gli imperatori romani e danno il nome alla sala, insieme ai due eleganti tavoli dodecagonali in porfido realizzati nel 1773 da Luigi Valadier. 

Nella foto: tavolo in porfido e statua di Dioniso nella nicchia, arte romana, 120-130 d.C.
In bronzo, busto di imperatore.

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Domina su tutto la scultura
"IL RATTO DI PROSERPINA"
di Gian Lorenzo Bernini, 1622.

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Bernini impara ad usare trapano e scalpello nella bottega del padre Pietro. La sua carriera artistica è segnata dall'incontro con la famiglia Borghese; Scipione l'aveva visto crescere e aveva intuito il suo talento, fu proprio lui ad affidargli i primi incarichi.
Il suo carattere ambizioso e la determinazione lo spingeranno a confrontarsi con Michelangelo e a competere con l'arte antica.

Qui l’autore sperimenta la torsione dei corpi e lo straordinario realismo dei dettagli, come le dita di Plutone che affondano nelle carni della fanciulla e le lacrime che sgorgano dagli occhi di Proserpina, il dolore di chi vivrà nell'oscurità.

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SALA I - DI PAOLINA
Al centro la famosissima scultura
"PAOLINA BORGHESE COME VENERE VITTORIOSA"
di Antonio Canova, 1808.

Rappresenta la Venere vincitrice del giudizio di Paride distesa su un triclinio. 

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L’opera fu uno scandalo, poiché per la prima volta ritraeva senza veli una nobildonna così in vista.
Si racconta che una nobildonna chiese a Paolina se non fosse stato imbarazzante mostrarsi nuda. Lei rispose: "E perché mai? Il suo studio è molto ben riscaldato".

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Camillo mostrava la statua orgoglioso a chi ne facesse richiesta, anche la notte, quando, nella penombra delle candele, lo spettacolo era mozzafiato.
La vicenda aveva creato una curiosità quasi morbosa, e a questo si aggiungeva lo stupore con l’illusione del movimento, quando i servitori la facevano ruotare su se stessa per via del meccanismo nascosto all’interno del catafalco.
Oggi Paolina non ruota più, fatta eccezione di qualche testa coronata o capo di governo.

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Il tema della statua è ripreso nella volta, dipinta con
"IL GIUDIZIO DI PARIDE" (STORIE DI VENERE E DI ENEA),
di Domenico De Angelis, 1779.

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Altra opera interessante è
"L'ERMA DI BACCO"
di Luigi Valadier, 1773.

Luigi Valadier, padre di Giuseppe, realizzò questa scultura in marmo e bronzo.
Canova ne rimase incantato, la chiamò "bella testa".

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Tra i rilievi incastonati alle pareti, decorate con pannelli in marmo dipinto, spiccano due scene:
"AMORE CHE DOMA L'AQUILA DI GIOVE",
eseguita in stile antico da Pietro Bernini.

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"AIACE FURENTE CON CASSANDRA",
scolpito nel 370 a.C. da un anonimo artista tarantino.

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SALA II - DEL DAVID

L’ambiente è dominato dal David, la statua commissionata dal cardinale Scipione a Gian Lorenzo Bernini quando quest’ultimo aveva 26 anni, cioè intorno al 1624.
È un mirabile esempio di scultura barocca, più dinamica di quella rinascimentale.
Bernini raffigura il giovane eroe pagano nello sforzo di tendere la fionda per lanciare la pietra verso Golia, dove si coglie la tensione di chi non può sbagliare mira.

Molti critici ritengono che l’espressione del volto di David, teso nel prendere la mira con la sua arma, sia un autoritratto dell’artista nell’atto di scolpire il marmo.
Lo storico Baldinucci, contemporaneo dello scrittore, racconta che il cardinale Maffeo Barberini gli reggeva lo specchio mentre scolpiva. 

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Alle spalle della statua si trova il dipinto del caravaggesco napoletano Battistello Caracciolo, che rappresenta invece la conclusione del duello: "Davide vittorioso regge per i capelli la testa mozzata di Golia".


Tra le sculture antiche spicca il sarcofago con le fatiche di Ercole, eseguito in Asia minore nel 160 d.C.

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SALA III - DI APOLLO E DAFNE
In questa sala è collocato un altro capolavoro del Bernini,
"APOLLO E DAFNE"
marmo di Carrara, 1625,
 una delle più incredibili sculture di tutti i tempi.

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L’opera è ispirata alle Metamorfosi di Ovidio, e rappresenta il momento in cui Apollo cattura la ninfa Dafne.
Per sfuggire alla brama del desiderio di lui, la ninfa inizia la sua metamorfosi trasformandosi in una pianta di alloro.
Ed ecco la visione geniale dell’artista, il quale conferisce alla scultura un’azione che si svolge in quattro fasi che corrispondono ai punti di vista dell’osservatore.
Quindi per comprendere la metamorfosi, è necessario girare intorno alla statua.

Alle spalle Apollo è appoggiato all'albero di alloro mentre del corpo di Dafne non è rimasta traccia.

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La trascrizione latina alla base della statua merita una nota.
 La frase dice: "Chi insegue le belle forme, alla fine si trova foglie e bacche amare in mano".
Si tratta di una affettuosa ma decisa condanna scritta a Scipione dal cardinale Maffeo Barberini (il futuro Papa Urbano VIII), per redarguirlo dalla sua esagerata ambizione.
Il cartiglio divenne commento involontario dell’episodio trattato, nella statua del Bernini.

Il soggetto di Apollo e Dafne è ripreso anche sul soffitto, un affresco di Pietro Angeletti che, fra il 1780 e il 1785, ha dipinto anche le allegorie delle stagioni ai lati della volta.

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SALA V - DELL'ERMAFRODITO
La STATUA DI ERMAFRODITO DORMIENTE, sdraiato su un letto disfatto, dà il nome a questa piccola sala. 
Si tratta di una copia in marmo di Paro del II secolo d.C., da un originale scolpito dall’artista greco Policle.

In realtà si tratta della seconda copia:
la prima fu ritrovata durante gli scavi della chiesa di Santa Maria della Vittoria Gian Lorenzo Bernini la restaurò nel 1620 trasformando l'appoggio marmoreo in un materasso.
Questa copia fu venduta a Napoleone nel 1807.

Il secondo esemplare simile in marmo di Paro è quello qui presente, restaurato da Andrea Bergondi che modificò il giaciglio in morbido materasso così come aveva fatto Bernini.

Collocato sopra la statua lo straordinario VASO IN ALABASTRO A TARTARUGA di Antoine Guillaume Grandjacquet.

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Di fronte alla statua una vasca di porfido rosso che fino al 1779 si trovava a Castel Sant’Angelo, eseguita probabilmente per il Mausoleo di Adriano.

Da notare il magnifico pavimento con un mosaico romano del II secolo d.C che raffigura una scena di pesca.

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SALA VI - DI ENEA E ANCHISE

Quando lavora al gruppo di "ENEA, ANCHISE E ASCANIO" (1618-1620), Gian Lorenzo Bernini ha solo 21 anni.
Nonostante la giovane età l’artista esprime tutto il suo talento in questa immagine ispirata ai versi dell’Eneide che raccontano la fuga del guerriero Enea da Troia insieme al padre Anchise e al figlioletto Ascanio.

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In particolare lo sforzo del vecchio Anchise nel portare in salvo le statuette dei Penati (le divinità protettrici della famiglia) o lo sguardo atterrito di Ascanio, che tiene in mano il fuoco sacro della casa abbandonata.
È un’immagine mitologica della pietas familiare voluta forse dal cardinale Borghese in omaggio alla sua stirpe.

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L’altra scultura del Bernini presente in questa sala raffigura 
"LA VERITÀ"(1648)
 opera allegorica che prevedeva anche la figura del Tempo, rimasta incompleta per la morte dell’artista.

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In questa circostanza nel soffitto non vi è una decorazione riferita alla scultura del Bernini ma l'affresco
"CONCILIO DEGLI DEI"
di Laurent Pécheux, 1783.

Il concilio si riunisce per decidere la guerra di Troia, con sostenitori e contrari ai lati di Giove.

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SALA VII - EGIZIA
Antonio Asprucci progettò questa sala per le statue egizie della Collezione Borghese; in seguito fu presa ad esempio per le stanze egizie nei palazzi romani.

Sulla volta il pittore Tommaso Conca ha dipinto, nel 1780,
CIBELE E IL NILO,
 l’incontro fra il fiume e la dea della fertilità, insieme a raffigurazioni mitologiche di diversi pianeti.

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Dello stesso autore è anche il fregio che corre lungo le pareti, interamente rivestito di marmi pregiati, che racconta la storia di Cleopatra e Marco Antonio.

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Anche la statuaria è collegata all’Egitto, come gli uccelli acquatici in bronzo.

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Spicca soprattutto il grande ritratto della "DEA ISIDE IN CORSA" (150 d.C.), vestita con una lunga tonaca in marmo nero, che si prepara a inseguire il suo sposo Osiride, destinato, secondo la religione dei faraoni, a morire ogni anno per risorgere dopo tre giorni.

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Solamente la statua centrale non ha legami con l’Egitto, SATIRO SU DELFINO, copia romana del I secolo d.C. di un originale greco, che si rifà allo stile del celebre Lisippo.
 Per la sua bellezza aveva suscitato l’interesse di Raffaello.

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Sul pavimento frammenti di mosaico romano del 200-220 d.C., con divinità marine femminili.

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SALA VIII - COLLEZIONE DI CARAVAGGIO

Il cardinale Scipione era stato uno dei primi mecenati a comprendere il talento del giovane Michelangelo Merisi da Caravaggio, che gli era stato presentato da un altro artista, il Cavalier d’Arpino.
Nella sua collezione c’erano 12 quadri del Caravaggio, ne sono rimasti 6, tutti qui riuniti:

1 - RAGAZZO CON CANESTRO DI FRUTTA, 1595 circa.

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2- AUTORITRATTO IN VESTE DI BACCO (BACCHINO MALATO), 1594 circa.
Questi primi due quadri sono stati dipinti quando l’artista era appena arrivato a Roma dalla Lombardia.
Il cardinale Scipione se li procurò ricattando il Cavalier d’Arpino.
Quest’ultimo fu imprigionato per essersi rifiutato di consegnargli la sua ricca collezione di dipinti, donata poi al cardinale per riscattare la libertà.

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In Caravaggio si intuisce già l’interesse per il realismo e lo studio dei rapporti fra luce e ombra che sarebbe sfociato, dopo qualche anno, nei drammatici chiaroscuri del ciclo di San Matteo nella chiesa di San Luigi dei Francesi, prima opera del pittore destinata ad un ambiente pubblico.
Ci fu un successo popolare, accompagnato però dalle pesanti critiche della chiesa, scandalizzata dai soggetti della pittura.
Caravaggio conduce una vita violenta e avventurosa e dipinge quadri straordinari come

3 - MADONNA DEI PALAFRENIERI, 1605.
 Destinata ad un altare nella Basilica di San Pietro.
Ma quella Madonna che schiaccia un serpente ed emerge dall’oscurità somiglia troppo ad una popolana romana e suscita critiche negli ambienti ecclesiastici.
La tela viene restituita all’artista, che la vende al Cardinal Borghese.

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Nel 1606 durante una rissa Caravaggio uccide un uomo ed è costretto a fuggire da Roma. Tocca Napoli, la Sicilia e Malta, per evitare di essere decapitato.
Lungo il tragitto dipinge opere drammatiche come

 4 - DAVIDE CON LA TESTA DI GOLIA, 1610.

 La testa di Golia è in realtà l’autoritratto dell’artista disperato.

Scansione personale, Pubblico dominio, wikimedia



Caravaggio riesce ad ottenere la grazia dal Papa per intercessione di un suo potente protettore: il cardinale Scipione.
In cambio il cardinale ottenne il "Davide con la testa di Golia" e
 5 - SAN GIOVANNI BATTISTA, 1610.

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Lo storico d’arte Maurizio Calvesi ha ipotizzato che nei continui rifiuti da parte delle chiese di quadri di Caravaggio ci fosse lo zampino di Scipione Borghese, che poteva così acquistare a basso prezzo.



6 - SAN GIROLAMO SCRIVENTE
1605-1606.
San Girolamo, nel contesto della Controriforma, beneficia di un culto particolare.
La testa del santo, sopra la quale si concentra la luce, si contrappone al teschio appoggiato su due libri antichi.
Un cencio pende dal tavolo; il santo pende un braccio per prendere una penna.
Il Caravaggio qui dà una dimostrazione di un talento all'apice.

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Caravaggio da Napoli si imbarca per Roma, che non raggiungerà mai: sbarcato sulle rive dell’Argentario, stanco e forse malato, morirà a Porto Ercole nel 1610.




PORTICO E SALA D’INGRESSO 
La visita al pianterreno si conclude con il portico della facciata della villa e il grande salone d’ingresso.

Nel portico sono sistemati diversi reperti romani.

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Dal portico si entrava appunto nel grandioso salone modificato da Marcantonio Borghese, secondo il gusto neoclassico dell’epoca, per festeggiare la nascita del suo primogenito Camillo, nel 1775, colui che poi sposerà Paolina, sorella di Napoleone.

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Commissiona al pittore Mariano Rossi il grande affresco della volta:
"VITTORIA DI FURIO CAMILLO SUI GALLI".
Il soggetto celebra la civiltà romana e l'eroica virtù dell'onore.

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Da notare il bassorilievo
"MARCO CURZIO CHE SI GETTA NELLA VORAGINE DEL FORO PER SALVARE IL POPOLO ROMANO"
del I sec.d.C.
 Il gruppo è composto da un cavallo antico (II sec. d.C.) e un cavaliere di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo (1618).

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La statua romana a lato del salone
"SATIRO COMBATTENTE"
  120-140 d.C.
Con il corpo in torsione, ha ispirato Gian Lorenzo Bernini per il David della II sala.

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I mosaici del pavimento, "LOTTA DI GLADIATORI", 320 d.C., provengono da una villa romana sulla via Casilina.

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PRIMO PIANO - PINACOTECA
(12 sale)

Salgo al primo piano dove, a legare l'itinerario di visita, trovo:

SALA IX - DI DIDONE
con i pittori umbri e toscani del Rinascimento.

"DEPOSIZIONE"
di Raffaello Sanzio, 1507.
È un capolavoro di Raffaello e anche una delle opere "rubate" da Scipione Borghese.
Era stata commissionata a Raffaello dal nobile perugino Atalanta Baglioni per ricordare il figlio Griffonetto morto in battaglia e si trovava in una chiesa di Perugia.
Come risposta all’affronto del no ricevuto di fronte alla sua offerta d’acquisto, Scipione lo fece trafugare con un tacito accordo del clero, attraverso Papa Paolo V.
I perugini reagirono con violente rimostranze, ma i Borghese non l’hanno mai restituita.

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Di Raffaello ci sono altre due opere:

"RITRATTO D'UOMO"
tempera e olio su tavola, 1502 circa.

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"DAMA CON LIOCORNO"
olio su tela applicata su tavola, 1506 circa.
Il dipinto ritrae una gentildonna dai tratti aristocratici con in braccio l’animale mitologico che, secondo tradizione medievale, poteva essere domato soltanto da una vergine.
Rimane il mistero sulla sua identità, ancora oggi gli studiosi non sono riusciti a darle un nome.

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Due tondi con tema Adorazione del Bambino rappresentano l’evoluzione dell’arte in Toscana.

"MADONNA COL BAMBINO E SAN GIOVANNINO"
 di Lorenzo di Credi, tempera su tavola, 1488-1495.

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"ADORAZIONE DEL BAMBINO"
di Bartolomeo di Paolo del Fattorino, detto Fra’ Bartolomeo, tempera su tavola, 1499. 
Qui sono già presenti le novità di Leonardo da Vinci: domina l’armonia, sia tra le figure che nel paesaggio naturale dominato dai ruderi di un tempio, simbolo della fine del mondo pagano.

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Fra questi dipinti italiani si distingue
"RITRATTO D'UOMO"
di Hans Schäuffelein, olio su tavola, 1505.
Incredibile la definizione dei tratti del volto e dei capelli.

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SALA X - DI ERCOLE
Manierismo italiano secolo XVI

Nel '600 questo ambiente si chiamava la Stanza del Sonno, perché il suo arredo faceva riferimento al riposo, molto probabilmente si trattava della camera da letto di Scipione.

Ora qui possiamo ammirare
 "LA ZINGARELLA"
 una preziosa statua in marmi policromi: testa, mani e piedi in bronzo, veste in marmo statuario, manto in bigio, 1612.

Fu commissionata da Scipione allo scultore francese Nicolas Cordier.

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Alle pareti dipinti del '500.

"DANAE"
di Antonio Allegri, detto il Correggio, olio su tela 1531.
Danae viene ritratta bambina ed è un capolavoro del Correggio.
Faceva parte di un ciclo di dipinti dedicati agli amori di Giove realizzati per Federico II Gonzaga come regalo per l’imperatore Carlo V.
Venne acquistata dai principi Borghese nel 1827, dopo aver peregrinato a lungo per le più importanti corti d’Europa.

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SALA XI - SCUOLA FERRARESE DEL XVI SECOLO
Una piccola sala dedicata ai dipinti di questa scuola, di cui il cardinale Borghese era un grande estimatore.
Pittura considerata non soltanto pregevole ma anche molto conveniente perché nel 1597 la città era entrata nei domini dello Stato Pontificio e il potente cardinale Enzo Bentivoglio facilitava l’acquisto e il transito delle opere verso Roma.

I capolavori più importanti:

"COMPIANTO SUL CRISTO MORTO"
di Ortolano, 1521.
Un dipinto che si rifà alla scuola veneta del '400, visibile nella gamma cromatica e nei dettagli dello sfondo campestre.

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"INCREDULITÀ DI SAN TOMMASO"
di Ludovico Mazzolino, olio su tavola, 1522. 
La piccola tavola è dipinta con colori così brillanti da sembrare smaltati.
La visione di Tommaso si inserisce in un paesaggio giocato sui toni di azzurro, dove compaiono palazzi e castelli illuminati dal sole nascente.

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SALE XII e XIII
La sala XII riunisce opere del '500 di scuola lombarda, veneta e senese, influenzata dagli studi prospettici di Leonardo da Vinci, alcune delle quali sono state a lungo considerate dello stesso maestro.

"CRISTO PORTACROCE"
di Andrea Solarium, olio su tavola, 1511.
Si ispira a un disegno di Leonardo custodito nella Galleria dell’Accademia di Venezia.

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"LEDA"
di Leonardo da Vinci, tempera su tavola, 1525.
Attribuita a Leonardo per oltre tre secoli, molti ritengono sia opera di un allievo, altri un dipinto incompiuto dello stesso Leonardo rimaneggiato a più mani.
Nella scena mitologica, il cui paesaggio fluviale é di certo invenzione leonardesca, la ninfa abbraccia il cigno, una delle tante metamorfosi di Giove, mentre dalle sue uova escono Castore e Polluce, i figli di questa curiosa unione.

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"SACRA FAMIGLIA"
di Giovanni Antonio Bazzi, detto Sodoma, olio su tavola, 1530.
Ritenuta a lungo opera di Leonardo, è interamente giocata sui rapporti fra luci e ombre, forti chiaroscuri evidenziati dal bagliore del tramonto.

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Nella XIII sala invece sono raccolti i dipinti a tema sacro di scuola bolognese e fiorentina. 

Su tutti:

"MADONNA COL BAMBINO NEL GIARDINO DI ROSE
di Francesco Francia, olio su tavola, 1510.

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SALA XIV - GALLERIA DEL LANFRANCO, PITTURA DEL

 XVII SECOLO
In origine questo salone era una loggia aperta al panorama dei Giardini Segreti; alla fine del Settecento è stata chiusa e trasformata in galleria per preservare l’affresco del soffitto
"CONSIGLIO DEGLI DEI"
 di Giovanni Lanfranco del 1624.

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Qui si trovano sculture di Gian Lorenzo Bernini:

"CAPRA AMALTHEA"
del 1615.
Fu scolpita dall’artista ancora diciassettenne, ispirata a modelli classici, uno dei primi incarichi avuto da Scipione.

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"BUSTO DI SCIPIONE BORGHESE"
del 1632.
 Il cardinale ha un volto bonario e gioviale.

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"BOZZETTO PER STATUA EQUESTRE"
terracotta, 1670
Il bozzetto fu elaborato per un monumento a Luigi XIV, il famoso re Sole, che non venne mai eseguito.

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Infine due autoritratti del Bernini:

 "AUTORITRATTO IN ETÀ GIOVANILE"
olio su tela, 1623 circa.

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"AUTORITRATTO IN ETÀ MATURA"
olio su tela, 1630-1635.

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SALA XV - DELL'AURORA, SCUOLA FERRARESE, VENETA E BRESCIANA DEL XVI SECOLO

"RITRATTO DI GIOVANE"
di Giovanni Gerolamo Savoldo, olio su tela, 1530.
La straordinaria spiritualità che emana dal volto rimanda a un San Giovanni Evangelista, piuttosto che a un semplice ritratto.

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"ULTIMA CENA"
di Jacopo Bassano, olio su tela, 1548.
Il dipinto fu a lungo attribuito a Tiziano, la scena è ambientata fra pescatori che mangiano a piedi scalzi mentre sulla tavola i bicchieri e le stoviglie sono definiti nei minimi dettagli.

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SALA XVI - DELLA FLORA, MANIERISMO FIORENTINO DEL XVI SECOLO
Michelangelo è il grande assente nelle sale della Galleria Borghese; Scipione era riuscito a procurarsi soltanto un piccolo crocifisso, che è andato perduto.
Sono presenti però i suoi allievi, a cui è dedicata l’intera sala, i cosiddetti "manieristi", proprio perché si ispiravano alla "maniera" di Michelangelo.
Come lui dipingevano figure dai tratti anatomici marcati in composizioni teatrali e drammatiche.

"ADORAZIONE DEL BAMBINO"
di Pellegrino Tibaldi, olio su tela, 1549.
Le espressioni dei personaggi riuniti intorno al bambino ricordano la scena del Giudizio Universale nella Cappella Sistina.

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"RESURREZIONE DI CRISTO"
di Marco Pino, olio su tavola, 1576.

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SALA XVII - DEL CONTE DI ANGERS, PITTURA
 XVII
- XVIII SECOLO

In questa saletta è presente il Canaletto con il "COLOSSEO", un quadretto poco più grande di una miniatura (1742).

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SALA XVIII - DI GIOVE E ANTIOPE, PITTURA DEL XVII SECOLO
Nella volta Giove e Antiope danno il nome alla sala.

Prima di essere collocato sul soffitto, questo quadro di Bénigne Gagneraux ebbe un discreto successo presso i critici.
L'episodio del mito di Ovidio vede il dio Giove, con le fattezze di un satiro, avvicinarsi alla ninfa.

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Qui si trovano due capolavori di Pieter Paul Rubens.
All’inizio del seicento Rubens abbandona le Fiandre e si trasferisce a Roma per studiare l’arte classica.
Lascia alla città, nelle chiese e nei palazzi, diversi capolavori.

"COMPIANTO SUL CRISTO MORTO"
olio su tela, 1602.
Un enorme tela dove Rubens interpreta il soggetto con un occhio rivolto ai maestri del '500, come Tiziano e Michelangelo.
Le rovine romane colpivano gli artisti del Nord, qui Rubens appoggia il corpo di Cristo nell’ara pagana decorata con scene sacrificali.

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"SUSANNA E I VECCHIONI"
olio su tela, 1602.
Un altro omaggio di Rubens all’arte italiana, il cui tema verrà ripreso dal Domenichino.

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SALA XIX - DI ELENA E PARIDE, PITTURA DEL XVII SECOLO A ROMA

Nella sala dedicata alla pittura del '600 spicca
"CACCIA DI DIANA"
di Domenico Zampieri, detto il Domenichino, olio su tela, 1617. 
Scipione se lo aggiudicò senza scrupoli, imprigionando l’artista che gli aveva negato l’acquisto dell’opera, già promessa ad un altro potente, Pietro Aldobrandini, nemico giurato dei Borghese.
Raffigura la dea della caccia insieme a un gruppo di ninfe impegnate in una gara con l’arco.
La scena è ispirata a un episodio dell’Eneide, mentre la freccia che colpisce il bersaglio è una metafora all’arte della retorica, cioè alla capacità degli argomenti di colpire il bersaglio.

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"GIOVE E GIUNONE"
di Antonio Carracci, olio su tavola, 1612.

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SALA XX - DI AMORE E PSICHE, SCUOLA VENETA DEL XVI SECOLO
Il soffitto del XVIII secolo rappresenta gli amori di Eros e Psiche, dipinti da Pietro Antonio Novelli.
Al centro "PSICHE È ACCOLTA NELL'OLIMPO PER LE NOZZE CON AMORE", mentre ai lati si sviluppano gli episodi della storia.

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Qui un capolavoro assoluto:

"AMOR SACRO E AMOR PROFANO"
di Tiziano, olio su tela, 1514.
La fama raggiunta da quest’opera fu immensa, tanto che alcuni ricchi collezionisti erano pronti ad acquistarla per somme favolose, come i Rothschild che, nel 1899 offrirono ben 4 milioni di lire, una cifra superiore a quella stimata per l’intera villa e le sue opere d’arte.
L’interesse così acceso per quest’opera era dovuto al misterioso soggetto, un vero enigma per gli storici dell’arte, che per secoli si sono interrogati sul significato del quadro, formulando numerose ipotesi.

Le ultime ricerche sembrano aver chiarito il mistero: si tratta di un’opera eseguita dall’artista per le nozze di due ricchi veneziani, Nicolò Aurelio e Laura Bagarotto, e raffigura due donne che simboleggiano la felicità terrena e la felicità terrestre, una con un cofanetto di gioielli, l’altra con la fiamma ardente dell’amore divino.
Il tutto in un meraviglioso paesaggio naturale animato da greggi al pascolo, pastorelli nel prato e un sarcofago adibito a fontana dove un amorino paffutello immerge il braccio, a rappresentare il mondo antico.

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"MADONNA COL BAMBINO E I SANTI FLAVIANO E ONOFRIO"
di Lorenzo Lotto, olio su tavola, 1508
È un omaggio al tedesco Albrecht Dürer, che due anni prima era stato a Venezia: il volto barbuto di Sant’Onofrio eremita ha gli stessi tratti di un personaggio del "Cristo fra i dottori", di Dürer, che oggi fa parte della Collezione Thyssen, a Madrid.

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Questa sala chiude il percorso di visita, ed esco immaginando come si sarebbe presentata la galleria qualora fossero state presenti le opere al completo, disperse in Italia e all’estero.

Giro sul retro e attraverso il Parco dei Daini della villa, così chiamato per la presenza di daini e gazzelle fino a tutto l'Ottocento.

A delimitare i viali furono poste delle colossali erme, opere di Pietro Bernini e suo figlio Gian Lorenzo.

Le erme sono colonne quadrangolari sormontate da teste scolpite.

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Ad un solo chilometro da qui (10-15 minuti a piedi) c'è il Quartiere Coppedè, che possiede un mix di edifici alquanto bizzarri.

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ROMA



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Bibliografia:
-Ludovico Pratesi, guida "La Galleria Borghese", edizione fuori commercio, supplemento e "Carnet", anno 4, n.5, ed. De Agostini-Rizzoli Periodici, 1998.
-Gilles Lambert, "Caravaggio",  edizione fuori commercio, supplemento a "L'Espresso", febbraio 2002, "San Girolamo scrivente", pp. 72-73.


Sitografia:



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